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Studiare per la scuola o per la vita?

Studiare può essere un’operazione poco produttiva oppure un grande investimento. Purtroppo molti docenti non sanno trasmettere la coscienza delle materie perché non sanno separare le basi dalle nozioni che potranno servire solo nella professione e, soprattutto, non sanno evidenziare che tali basi serviranno nella vita di tutti i giorni. Paradossalmente, questi docenti sono tanto più bravi quanto più avanzato è il corso che tengono. Ovviamente, nella scuola di specialità in chirurgia vascolare praticamente tutto serve per la professione; nel programma di matematica di terza media quasi tutto serve per la vita, quindi il docente deve essere in grado di spiegare ogni concetto premettendo esempi pratici che rispondono alla domanda: “a cosa mi serve questo?”. Se devo spiegare l’area del cerchio posso farlo chiedendo quanto concime serve per concimare un giardino di forma circolare oppure, se devo spiegare il teorema di Pitagora, userò il problema di scegliere un opportuno carrello per un televisore di cui conosco la dimensione in pollici (la diagonale dello schermo) ecc. Basta un po’ di fantasia. Purtroppo i libri di testo non partono dal formare una coscienza della materia, ma danno quasi per scontato che la si possieda già. Ecco quindi le dimostrazioni, le formule ecc. Notiamo come su Wikipedia i contributi matematici, fisici o scientifici in genere siano in gran parte incomprensibili per il semplice fatto che chi li ha redatti non si è preoccupato minimamente di chi non è un “addetto ai lavori”.

Il jerk

Si supponga che un docente di fisica debba spiegare la derivata dell’accelerazione rispetto al tempo (cioè la derivata terza dello spazio rispetto al tempo). Se parte con formule e dimostrazioni è (probabilmente) la fine per gran parte degli studenti che assistono alla lezione. Molti altri seguiranno, ma comunque con noia e parziale disinteresse. Il professore sceglie invece una strada diversa.

Si consideri la gara di un centometrista non molto allenato. Parte dai blocchi e la sua velocità aumenta, la sua accelerazione è positiva. A un certo punto raggiunge la velocità di regime, la velocità è costante e l’accelerazione è nulla; poi verso gli 80 m, a causa di una mancanza di tenuta, cala, la sua velocità diminuisce e la sua accelerazione è negativa. Se si osserva il grafico della velocità si nota che è simile a un trapezio con il primo lato obliquo molto pendente (diciamo fino ai 40 m), poi un tratto piano (dai 40 agli 80 m) e il secondo meno pendente (quando cala verso gli 80 m; non arriva a chiudere la base).

Bene, questo idealmente. In realtà si comprende che nei punti di raccordo dei vertici alti non ci può essere una netta discontinuità con un calo brusco dell’accelerazione a zero. Questo simulerebbe un contraccolpo o una scossa (esempio del centometrista che si “strappa” improvvisamente), proprio quella derivata dell’accelerazione (il termine tecnico è jerk). Capito con un esempio che cos’è la derivata terza dello spazio rispetto al tempo, ci si può buttare su formule e dimostrazioni.

Controlli…non controllati

Mi ricordo che l’esame di Controlli automatici l’ho preparato in undici ore senza mai essere andato a lezione, tranne che alla prima. In tale lezione il professore non aveva saputo spiegare quali nozioni potessero essere utili, a me che volevo occuparmi di personal computer, di linguaggi e sistemi operativi. Quando venne il momento di preparare l’esame, mi accorsi che allo scritto il professore dava sempre problemi diversi, ma tutti riconducibili alle stesse equazioni differenziali: questo avvalorò la mia tesi che il tutto fosse gestito in maniera molto astratta. Dedicai un’intera giornata a capire come passare dall’enunciato dell’esercizio all’equazione che lo risolveva. Poiché avevo già dato l’esame di Analisi, la soluzione delle equazioni era banale, mi bastò inserire qua e là frasi del tipo “è immediato concludere che l’equazione che descrive il problema è: …” ecc. Ovviamente, dopo aver preso il massimo allo scritto, ho rifiutato cortesemente la richiesta del professore che mi proponeva di sostenere l’orale per “avere la lode” (avrei fatto praticamente scena muta).

Le reazioni di ossidoriduzione

Questo paragrafo può servire agli studenti di chimica e a chi la insegna; vuole evidenziare come sia del tutto inutile complicare la materia con concetti tutto sommato superflui.

In chimica si studiano le reazioni di ossidoriduzione e per “risolverle” si usano concetti empirici, non del tutto teoricamente giustificati come i numeri di ossidazione. Tali numeri sono “dedotti” con artificiose convenzioni con diverse eccezioni (del tipo “il numero di ossidazione dell’ossigeno nei composti è quasi sempre uguale a -2”). Praticamente si studia un metodo per mettere i coefficienti non noti davanti a questa non semplicissima reazione:

K2Cr2O7+S+H2O -> SO2+ KOH+Cr2O3.

Ebbene, è banale accorgersi che i coefficienti si trovano esprimendo la conservazione degli atomi con un sistema di equazioni di primo grado (in altri termini: senza sapere nulla di chimica!). Se X, Y, Z, M, N, Q sono i coefficienti incogniti, la conservazione del numero di atomi di dice che:

  • (potassio) 2X=N
  • (cromo) 2X=2Q
  • (ossigeno) 7X+Z=2M+N+3Q
  • (zolfo) Y=M
  • (idrogeno) 2Z=N.

Otteniamo un sistema di 5 equazioni in 6 incognite, a infinite soluzioni.

Se lo risolviamo, per esempio partendo dalle più semplici (la più complessa è quella dell’ossigeno), troviamo che N=2X, Q=X, M=Y, Z=X. Sostituendo nella terza, si trova che 3X=2Y da cui Y=3/2 X.

Abbiamo pertanto:

  • X=X
  • Y=3/2 X
  • Z=X
  • M=3/2 X
  • N=2X
  • Q=X.

Ora, fra le infinite soluzioni scegliamo quella che renda unitari i coefficienti, cioè moltiplichiamo tutto per 2 (il denominatore delle soluzioni relative a Y e M), ottenendo:

  • X=2
  • Y=3
  • Z=2
  • M=3
  • N=4
  • Q=2.

2K2Cr2O7+3S+2H2O -> 3SO2+4KOH+2Cr2O3.

Semplice, senza conoscere nulla su numeri di ossidazione, regole empiriche ecc.

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