La miopia temporale è l’incapacità di prevedere l’evolversi di una situazione (che comunque coinvolge il soggetto) elaborando una serie di informazioni sufficienti a formulare ipotesi plausibili. Non essere miopi temporalmente non vuol dire saper prevedere il futuro, ma sostanzialmente essere in grado di capire come evolverà una certa situazione quando si hanno dati sul presente che possano dare utili indicazioni.
La previsione
Se il fenomeno fosse descrivibile con una curva, un matematico direbbe che la miopia temporale è l’incapacità di calcolare la derivata della curva nel punto, cioè per esempio di capire se la curva tende a salire, a scendere ecc. Nella realtà le cose sono un po’ più complesse perché spesso è interessante capire come la situazione evolverà non nell’immediato, ma dopo un periodo di tempo abbastanza lungo. Va da sé che ogni previsione non ha nessuna garanzia di certezza, ma potrebbe essere semplicemente collegata a una probabilità che l’evoluzione sia quella prevista. Un esempio a tutti noto è quello del meteo. Da sempre l’uomo ambisce a prevedere l’evoluzione del tempo; anche senza scomodare maghi e indovini, scrutare il cielo, (rosso di sera bel tempo si spera), il vento o altri eventi naturali sono tutti atteggiamenti che sono collegati con il desiderio di prevedere “che tempo farà”.
Oggi la meteorologia è così evoluta che può arrivare a prevedere il tempo che farà domani con ottima probabilità di successo, ma è indubbio che molti di noi continuano a “provarci” con i vecchi metodi di osservazione del presente locale. In altri campi si nota invece l’incapacità del soggetto di fare previsioni, anzi spesso non vuole neppure provarci, anche se con i suoi dati a disposizione altri elaborerebbero previsioni comunque plausibili. Dato un fenomeno e un buon insieme di dati che lo descrivono, è anche possibile che due soggetti con elaborazioni distinte arrivino a previsioni diverse, a volte opposte. Si deve quindi notare che la miopia temporale non è data dalla bontà della previsione, ma dall’incapacità di fare la previsione. Tale incapacità può dipendere dal rifiuto:
- dell’elaborazione
- del coinvolgimento.
Il rifiuto dell’elaborazione
Notiamo che nella definizione di miopia temporale si parla di “elaborazione”; quando manca questa elaborazione senza l’analisi dei dati c’è comunque miopia. Il soggetto può rifiutare la previsione perché sostituisce l’elaborazione con una decisione non razionale (per esempio basata sull’ottimismo o sul pessimismo).
In genere questo punto è indice di qualche personalità critica. Vediamo qualche esempio.
Una donna insufficiente potrà non prevedere la violenza del marito perché rimuove ogni giudizio su di lui negativo, in base alla banale speranza (che per lei è una certezza) che “poi cambierà”.
Un semplicistico potrà non prevedere il crollo di un investimento finanziario semplicemente perché ritiene, in base a sue ottimistiche considerazioni, che “andrà sempre così”.
Un irrazionale potrà non prevedere la perdita al gioco perché ritiene il suo sistema assolutamente sicuro; analogamente, sottovaluterà ogni pericolo di una sua impresa rischiosa con la banale considerazione che “a lui non può succedere”.
Un romantico potrà non prevedere tradimenti e separazioni semplicemente perché l’idea dominante per il suo oggetto d’amore ha “bloccato” la realtà, impedendogli di elaborare segnali comunque evidenti.
In tutti questi casi, si ritiene l’elaborazione inutile perché il futuro deve sottostare a leggi che si ritengono “certe”. Quando queste leggi non si verificano il soggetto appare, a volte anche tragicamente, “sprovveduto”.

La miopia temporale può condurre facilmente a scelte sbagliate
Il rifiuto del coinvolgimento
In soggetti equilibrati o comunque non decisamente critici la miopia temporale si ha per mancato coinvolgimento.
Si supponga che in un’azienda venga proposto un piano di rilancio. Se Tizio andrà in pensione fra un anno non sarà particolarmente interessato a dare un giudizio del piano e quindi, pur elaborando i dati, concluderà che “gli sforzi per capire la reale situazione fra x anni” sono per lui “personalmente” inutili.
L’esempio è chiaro e nessuno può condannare Tizio se non si pronuncia in modo chiaro e netto.
Purtroppo esistono molte situazioni “sociali” dove il rifiuto del coinvolgimento non è motivato da un reale distacco dalla situazione, ma semplicemente dal non voler prendere posizioni scomode in base alle proprie convinzioni o ai propri interessi.
Vediamo tre casi classici.
Ambiente – A tutti è noto il decadimento dell’ambiente, ma molti non prendono nessuna posizione, non elaborano i dati che per esempio condannano il pianeta al riscaldamento globale provocato dalla politica energetica semplicemente perché il momento del “crash” è abbastanza lontano nel tempo; a loro non interessa e si limitano a pensare che “gli altri esagerano” e che la cosa non interesserà nemmeno a figli e a nipoti. Al più confidano che le nuove generazioni sappiano affrontare a poco a poco il problema.
Antropentropia – Analogamente, se è a tutti abbastanza evidente che se improvvisamente sulla terra ci fossero 20 miliardi di persone sorgerebbero gravissimi problemi, a pochi interessa il fatto che la popolazione mondiale continui ad aumentare. Il margine temporale prima del “crash” è ancora talmente ampio da non suscitare praticamente interesse per il problema.
Immigrazione – In genere il rifiuto del coinvolgimento non è totale, ma il soggetto si limita a ritenere insufficienti i dati e i modelli proposti, indicando generici futuri fattori che potrebbero non portare la situazione alla rovina.
Il suo punto di forza è che il momento del “crash” non è immediato e quindi sostanzialmente le sue osservazioni suonano spesso come “facilonerie da ottimismo”. Infatti chi volesse contestare una previsione dovrebbe proporre un modello quantitativo alternativo a quello che gli viene proposto (in genere chi non si fa coinvolgere usa solo soluzioni qualitative).
L’assenza di tale modello è la condanna definitiva per chi di fatto rifiuta il coinvolgimento.
I danni della miopia temporale
In realtà la maggioranza dei processi è continuo; un processo prima di evidenziarsi e arrivare al “crash” appare con continuità da un minimo verso un massimo. Per esempio, prima che i danni ambientali diventino devastanti ci sarà un periodo in cui comunque l’ambiente peggiorerà. Analogamente, per quanto riguarda l’immigrazione i cui danni sono già visibili nel degrado della nostra società. E sono tanto maggiori quanto più la società è miope temporalmente.
I danni “attuali” – Secondo il governo rumeno, il 40% dei criminali che espatriano arriva in Italia (penoso il fatto che molti politici non vogliano che si diffonda questo dato diffuso da personalità del governo rumeno); secondo l’ISTAT circa il 31,4% delle denunce penali riguarda immigrati nonostante siano solo un 10% della popolazione. La cosa assurda è che ci sono giornali come la Repubblica che titolano pezzi come “Immigrati e reati, calano le denunce malgrado il raddoppio della popolazione”; poi si legge il pezzo e si scopre che le denunce sono aumentate del 34% contro il raddoppio della popolazione. Quindi non sono diminuite le denunce, ma è diminuita la percentuale degli stranieri sul totale che delinquono.
Anche un asino con demenza senile capirebbe che il fenomeno immigrazione oltre a spostare l’Italia verso scenari che non le sono consoni (islamizzazione) sta comunque producendo danni. Certo, su base etica una persona può sostenere che tali danni sia comunque giusto subirli, ma perché falsare i numeri e fare passare per santo chi non lo è?