Il linguaggio è la capacità dell’uomo di comunicare per mezzo di un codice complesso; tale codice può essere una lingua o anche (in ambito scientifico) un linguaggio simbolico opportunamente definito. A differenza della logica, la raziologia non ha la pretesa di partire da un linguaggio simbolico. In verità, una logica che lo fa finisce prima o poi per perdere di vista l’approccio con la realtà per il semplice fatto che i linguaggi naturali hanno una complessità tale che nessun linguaggio simbolico e la logica a esso correlata sono riusciti finora a descrivere. Partire da un linguaggio simbolico significa sostanzialmente fare teoria e non pratica. Certo è che anche nel linguaggio naturale è possibile definire concetti logicamente classici. Definiremo per esempio “proposizione” ogni complesso linguistico meritevole di indagine raziologica (non aristotelicamente di verità/falsità). Una proposizione ha due dimensioni, una semantica (semantica come disciplina che studia il significato delle frasi e dei testi) e una grammaticale (grammatica come insieme di regole fonetiche, ortografiche, morfologiche, lessicali e sintattiche della lingua). Per esempio, la proposizione
l’anatra petrolifera dipingerà bontà dorate
non ha nessun senso comune (forse può essere la parola d’ordine di un agente segreto), ma grammaticalmente in italiano è corretta. Viceversa:
a me mi piacere le mele
è grammaticalmente orribile in italiano, ma è compresa da tutti.
Per la raziologia
una proposizione deve essere esprimibile, deve cioè possedere una chiara dimensione semantica.
Per la raziologia, la parte grammaticale, che è così fondamentale per ogni logica formale, svolge un ruolo minimo essendo studiata soprattutto per evidenziare le incomprensioni grammaticali, cioè il decadimento della dimensione semantica a partire da una carente dimensione grammaticale.

Il linguaggio ha una componente verbale e una non verbale
Incomprensione grammaticale
Quali sono gli errori grammaticali che possono ridurre la dimensione semantica di una frase? Questa affascinante domanda è sempre più importante con la globalizzazione dell’informazione; modi nuovi di scrivere (okkio, xché ecc.), interazioni linguistiche (basti pensare a quanti termini inglesi vengono usati nella lingua italiana), una diversa gestione dell’ortografia (oggi è drasticamente calata la corrispondenza basata sulla scrittura manuale) ecc. offrono spunti di riflessione notevoli. Si pensi, per esempio, alle difficoltà di comprensione che possono generare, in un italiano che conosce l’inglese scolastico, le abbreviazioni, le espressioni gergali o peggio, veri e propri errori grammaticali, “recuperati” facilmente da un madrelingua; per quest’ultimo le cose non sono così drammatiche perché le capacità di recupero semantico sono veramente enormi. Sono ormai classici gli studi che evidenziano come tali capacità siano incredibili. Se prendiamo una frase e manteniamo la parte iniziale e quella finale delle parole, mischiando a caso le altre lettere, probabilmente siamo in grado di capirla comunque! Per esempio la frase
Sicrumaente doamni anedrmo al cienma per veedre un bel domucnetario sui piginuni
è recuperata in pochi secondi dalla maggioranza della popolazione in quella corretta:
Sicuramente domani andremo al cinema per vedere un bel documentario sui pinguini.
La difficoltà maggiore sta sicuramente nel recupero dell’ultima parola; il motivo è molto semplice: le parole che conosciamo vengono recuperate tanto più rapidamente quanto più siamo abituati a usarle (cinema è più usato di pinguini).
Paradossi incomprensibili
Nella logica classica si sono spesi oceani di inchiostro per discutere su paradossi come quello del mentitore o su antinomie come quella di Russel (i termini paradosso e antinomia vengono usati spesso impropriamente; in linea di principio, il paradosso è una conclusione logica non contraddittoria che si oppone al senso comune, l’antinomia è una contraddizione).
Paradosso 1 (paradosso del mentitore) – Questo enunciato è falso. Se l’enunciato fosse vero allora sarebbe falso e se fosse falso sarebbe vero!
Paradosso 2 (paradosso degli insiemi o antinomia di Russel) – Esistono insiemi (cataloghi delle sezioni di una biblioteca, in una versione più concreta del paradosso) che contengono sé stessi (R) e insiemi (cataloghi) che non contengono sé stessi (NR). Consideriamo l’insieme di tutti gli insiemi NR (catalogo di tutti i cataloghi NR): sia M. Se M è un insieme NR, esso appartiene a M per la stessa definizione di M e allora è un insieme R per la definizione di insieme R. Se viceversa M è un insieme R allora, per la definizione di M, esso non appartiene a M, ossia non appartiene a sé stesso, ossia è un insieme NR. In entrambi i casi si cade in contraddizione.
Raziologicamente parlando, i due paradossi si basano su proposizioni non esprimibili, cioè del tutto inutili a priori perché, di fatto, non hanno un significato, ma sono solo il trionfo della parte grammaticale sulla dimensione semantica. In alcuni casi, come nel paradosso del mentitore, la proposizione non è proprio esprimibile come “tutti i cavalli leggibili sono neri” e quindi viene rigettata senza analisi; in altri, come per l’antinomia di Russel, è possibile apportare correzioni. Infatti, per mantenere l’esprimibilità, nel paradosso degli insiemi non è possibile ricondurre classi diverse di oggetti allo stesso tipo perché ciò genera confusione con un azzeramento della comprensione. Per mantenerla è necessario chiarire che esistono solo insiemi e selfinsiemi. Si può considerare “l’insieme di tutti gli insiemi”. Allora esso non contiene sé stesso (è un insieme), ma dovrebbe contenersi per definizione. Si ha una contraddizione e la proposizione non è esprimibile. Si consideri invece “il selfinsieme di tutti gli insiemi”: esso contiene tutti gli insiemi e inoltre contiene sé stesso (è un selfinsieme): tutto è corretto.
La definizione
Abbiamo già visto che, poiché la dimensione semantica è prevalente, la logica raziologica considera solo proposizioni esprimibili; analogamente, non può prescindere dalla considerazione che ogni termine abbia una definizione semanticamente non ambigua. La terminologia è la disciplina che si occupa delle definizioni.
Una definizione è un’operazione logica con la quale si evidenziano le proprietà di un oggetto, concreto o astratto; in genere porta a stabilire un’equivalenza fra un termine e il significato dello stesso. Poiché il significato è spiegato impiegando altri termini, condizione necessaria affinché uno stesso termine abbia lo stesso significato per due persone è che la spiegazione (cioè la forma della definizione) sia la stessa e i termini utilizzati abbiano lo stesso significato.
Ben si comprende come le probabilità che due definizioni provenienti da soggetti diversi siano del tutto equivalenti è piuttosto bassa, soprattutto perché nessuno di noi è in grado di riferirsi a dizionari comuni, ma ha un bagaglio di definizioni approssimative, frutto delle nostre esperienze consce e inconsce, il cosiddetto dizionario personale. Solo raramente si precisa a priori, in modo esplicito, il significato da associare a un termine che usiamo. Il campo d’azione della raziologia non è quello di completare la terminologia quanto quello di studiare gli errori che nascono dalle interazioni dei vari dizionari personali (Errore di definizione).