L’intelligenza statistica è la capacità di interpretare correttamente gli scenari statistici cioè quelli dove le probabilità degli eventi giocano un ruolo fondamentale. Per capire la sua importanza basta considerare quanti si illudono di aver trovato sistemi per vincere alla Roulette o al Superenalotto. Chi ha una buona capacità di valutare la realtà sa che gli scenari statistici sono molto più frequenti di quelli logici. Purtroppo, la scuola sembra non conoscere questa verità e il risultato è che gran parte della popolazione non ha una coscienza statistica.
Per avere una buona coscienza statistica non è necessario superare corsi universitari di statistica, basta possedere le basi della materia. Forse è proprio per questo che la scuola è carente nel formare l’intelligenza statistica dei ragazzi, perché l’insegnamento non riesce a staccarsi da ciò che è professionale e fin da subito si inseriscono concetti che nella quotidianità sono poco importanti. Come esempio citiamo la definizione di moda.
Se il fenomeno è qualitativo, non abbiamo numeri per descriverlo. Si supponga, per esempio, di descrivere sinteticamente l’osservazione del colore delle auto di una certa marca. La moda (o norma, μo) è la modalità del fenomeno più frequentemente osservata. Un fenomeno può non avere moda, averne una o più d’una. Se fra le clienti del giorno X di un parrucchiere per signora 3 sono castane, 3 bionde, 2 nere, 1 rossa, avremo due mode, “castana” e “bionda”.
Tutto chiaro? Certo, ma nella quotidianità cosa serve sapere cosa sia una moda?
Le cose poi si complicano con distribuzioni, stimatori, statistica inferenziale ecc. Tutte cose molto utili per il professionista, ma che entrano ben poco nelle decisioni che un soggetto deve prendere nelle sue giornate. Quali informazioni servono per avere una buona coscienza statistica? Rimando allo studio (non alla semplice lettura) al minicorso di statistica che trovate ai seguenti link:
Il senso statistico
L’intelligenza statistica è la capacità di sintetizzare (più o meno consciamente) le nostre osservazioni esterne che si riferiscono a uno scenario. Poiché in molti casi le probabilità degli eventi non sono del tutto note, non basta la coscienza statistica per “risolvere” lo scenario, occorre applicarla fondendola con la nostra intelligenza acquisitiva, cioè l’esperienza da sé o da altri. In altri termini, la coscienza statistica può essere in molti casi una condizione facilitante per l’applicazione pratica della nostra intelligenza statistica, ma non basta. Ecco che nasce il senso statistico.
In modo più preciso, il senso statistico ci permette di stimare con il giusto ordine di grandezza dati statistici non posseduti. Riflettiamo: noi quotidianamente acquisiamo una grande mole di dati. Se sappiamo acquisirli bene e il campione è significativo possiamo stimare dei dati statisticamente utili per capire il mondo. I più intellettuali potrebbero sostenere che rispettiamo i rigorosi criteri della statistica soltanto per sommi capi, ma il concetto di “intelligenza” indica proprio che a noi non interessa un numero esatto quanto un ordine di grandezza e quando ragioniamo per ordini di grandezza si possono fare approssimazioni (il che non vuol dire essere approssimativi!).
- Considero tutte le coppie che conosco. Sono 100, 200, 1.000? In queste quante (X) sono quelle in cui la donna si fa mantenere dal marito? Quante (Y) quelle in cui succede il contrario? Il senso statistico mi dice che X è decisamente maggiore (cioè ha un ordine di grandezza decisamente superiore) di Y. Indagare poi le cause del fenomeno (la società discrimina le donne, molte preferiscono dedicarsi ai figli e alla casa ecc.) è un passo successivo che non inficia la conclusione (la spiega).
- Considero tutte le persone che mi hanno raccontato delle loro letture (“sto leggendo Dostoevskij”, “ho letto l’ultimo libro di Benni” ecc.). Sono 100, 200, 1.000? Quante mi hanno detto “ieri sera mi sono letto il V canto dell’Inferno”?
Nei due casi sopraccitati, gli argomenti sono talmente generali che il campione è significativamente numeroso, non commetto errori di distorsione dell’esperienza perché la valutazione dei dati è facilissima e la mia personalità non influisce più di tanto, l’ordine di grandezza a favore di una tesi è schiacciante.

Negli USA fra il 2008 e il 2013 ci furono ben 135 morti per paracadutismo
Come nasce e come si utilizza il senso statistico
Confrontiamo due medici di fronte a un paziente che ha un gran dolore all’alluce di un piede. Il dott. A indica al paziente tutta una serie di possibilità, dalla microfrattura (il paziente ha tentato di correre per la prima volta in vita sua per perdere quei 10 kg di troppo che ha) a una rara forma di osteoporosi, da un tumore osseo a un problema circolatorio (il paziente è fumatore) ecc. Conclude dicendo: “facciamo tutta una serie di esami così scopriamo la causa”. Il dott. B visita il paziente e conclude: “è un attacco di gotta; facciamo gli esami, ma vedrà che ha l’acido urico molto alto”.
Ovviamente B ha un’esperienza medica molto maggiore di A ed è il medico che tutti noi vorremmo avere (rispetto ad A). B sa che per un buon medico gli esami confermano la diagnosi, non la fanno.
Applichiamo quanto detto all’intelligenza statistica e al senso statistico. Il senso statistico prescinde dai “conti che facciamo dopo”, è un intuito (nell’esempio, diagnosi) che sintetizza la nostra esperienza da altri e che noi poi potremmo confermare con una serie di considerazioni numeriche (nell’esempio, esami medici).
Per esempio, il senso statistico ci dice che gli obesi hanno una vita media inferiore. Una “conferma” nasce dall’esame di tutti coloro che conosciamo che hanno superato gli 80 anni. Non è una rigorosa prova statistica, ma serve a confermare largamente l’assunto.
Dagli esempi fatti ricaviamo che il senso statistico è comunque collegato all’intelligenza acquistiva. Quest’ultima permette di ottenere dei dati non distorti dalla nostra incapacità di gestire l’esperienza mentre l’intelligenza statistica ci permette di sintetizzare questi dati in un’affermazione che ha un riscontro pratico.
Un esempio critico
Vi viene chiesto se il paracadutismo è più pericoloso che viaggiare in auto. Alcune posizioni scorrette.
a) No, si può morire in entrambi i casi. Senso statistico (intelligenza statistica) nullo come quello di chi ritiene che andare in vacanza a Rimini sia pericoloso come andare nello Yemen. Non si è abituati a elaborare statisticamente un problema e si sceglie la strategia di considerare il caso peggiore, a prescindere dalla sua frequenza.
b) Sì, anche ieri è morto un paracadutista (o risposte simili). Senso statistico (intelligenza statistica) nullo. Probabilmente la risposta è generata dal carattere del soggetto (debole, fobico ecc.) o da una logica di comodo. Manca un qualunque tentativo di dare una risposta numerica al problema.
c) Non si possono paragonare attività così dissimili. Senso statistico (intelligenza statistica) soppresso. Può essere un esempio di logica di comodo oppure di semplice incapacità di usare strumenti statistici. Nel primo caso di solito si tratta di chi è coinvolto in prima persona, pratica sport pericolosi e ha elaborato una sua difesa dalle critiche in modo da sopprimere il senso statistico.
Nel caso in esame devo confrontare due attività molto diverse. La teoria della misura mi insegna due concetti fondamentali:
- devo usare la stessa unità di misura per valutare la pericolosità (non posso cioè comparare per esempio i viaggi in automobile con i lanci perché un “viaggio” non è un “lancio”);
- non posso prescindere dal concetto di tempo cui si fa riferimento quando si vogliono misurare grandezze come la velocità o la potenza, caratteristiche dell’entità considerata.
Il tempo, in effetti, è un’unità di misura comune. Per esempio, considero “essere paracadutista” come condizione in cui sono in volo con il paracadute (dall’istante in cui salto a quello in cui tocco terra compresi) ed “essere automobilista” quando sono in un’auto (conducente o passeggero) in moto. È più pericoloso essere paracadutista o essere automobilista? Si noti che in questa formulazione probabilmente faccio un favore ai paracadutisti perché allungo il tempo in cui ragionevolmente a loro non succede nulla (prima dell’impatto con il suolo).
Dai media so che ci sono circa 4-5.000 morti l’anno (tolgo i pedoni, i ciclisti, i motociclisti); in auto ci vanno circa 40 milioni di italiani (sto stretto), diciamo mezz’ora al giorno di media. In totale, ho un ordine di grandezza di circa 2 milioni di ore in macchina per avere un morto. La televisione mi dice che fra i paracadutisti in sei mesi ci sono stati sette morti, quindi un ordine di grandezza di almeno 10 all’anno. Quanto sono i lanci in Italia e quanto dura un lancio? Qui ho due possibilità: o mi documento o stimo i dati. Nel secondo caso, essendo conscio che approssimo maggiormente, l’ordine di grandezza a favore di una tesi deve essere ancora maggiore. Supponiamo che ritenga che ci siano 10.000 persone che fanno lanci, in media 20 all’anno e che un lancio duri 5′. Quindi ogni 2.000 ore circa di lancio ci sarebbe un morto. “Essere paracadutisti” risulta 1.000 volte più pericoloso che “essere automobilisti”. Ovviamente gli amanti di questo sport inizieranno a sollevare distinguo, ma queste obiezioni sono la spiegazione di ciò che l’intelligenza statistica mi ha già detto, non lo confutano.
Dati scientifici
È possibile avere dati scientifici più “certi” che non un semplice senso statistico? Ronald A. Howard, padre della moderna analisi decisionale, ci ha provato introducendo il micromort (da micro e mortalità). cioè un’unità di rischio che indica una probabilità di morte su un milione. In realtà, appare molto difficile arrivare a una definizione oggettiva del micromort per una data attività perché i dati raccolti non sono omogenei (cambia per esempio la legislazione da Paese a Paese). Per esempio, negli USA fra il 2008 e il 2013 ci furono ben 135 morti per paracadutismo, mentre nel Regno Unito fra il 1994 e il 2013 “solo” 41. La differenza è abissale e non si arriva a un numero oggettivo che misura il rischio. Quello che però tali indagini possono indicare è che il paracadutismo è meno pericoloso delle immersioni subacquee (197 morti nel Regno Unito fra il 1998 e il 2009 e 187 morti negli USA fra il 2000 e il 2006).
Le affermazioni statistiche
Il senso statistico permette di gestire e usare le affermazioni statistiche, spesso contestate da chi non comprende che esse fanno riferimento alla media della grandezza su campione studiato. Si può contestare l’affermazione statistica che una certa razza di cani X è meno pericolosa di un’altra Y? Inutile aggrapparsi all’educazione ricevuta dal cane, dall’intelligenza del padrone ecc. (tutti parametri che su una grande popolazione si pensa siano equivalenti per le due razze) se in un anno ci sono state 10 aggressioni mortali per la razza X e nessuna per la razza Y!