Già i filosofi greci conoscevano la fallacia, cioè un ragionamento apparentemente valido, ma in realtà scorretto (nell’articolo alcune fallacie sono indicate con la loro locuzione latina). Molte delle fallacie classiche appaiono oggi a tutti molto evidenti e le vecchie classificazioni sono interessanti solo dal punto di vista teorico. Stranamente con l’evolversi della cultura alcune fallacie sono rimaste ben radicate nella popolazione (molti errori raziologici sono riconducibili a esse), mentre altre sono state concretamente sostituite da versioni più moderne e altre sono scomparse nel senso che non occorre essere dotti filosofi per contestarle con la propria razionalità. Paradossalmente, l’importanza delle fallacie è stata sminuita proprio dall’incapacità di separare quelle veramente utili praticamente da quelle che sono semplici giochi linguistici (fallacie teoriche). Anche questo è un compito della raziologia.
Fallacia linguistica
La fallacia linguistica è legata a un uso scorretto del linguaggio (è soprattutto importante nel dialogo); è legata spesso alla volontà eristica di sopraffare il contendente e non interessa quindi che marginalmente il ragionamento sulle proprie posizioni (può succedere, ma nessuno inganna sé stesso, barando sul linguaggio!).
Fallacia induttiva
In realtà, modernamente parlando, si tratta di un errore statistico (fallacia dello scommettitore), o acquisitivo (errore di generalizzazione). Per altri, come la fallacia dell’evidenza soppressa non è difficile far risalire il problema ad altri errori raziologici. Se per esempio dico: “Mario è un buon padre di famiglia, molto scrupoloso nel suo lavoro, sempre pronto a scherzare a divertirsi, quindi Mario è una persona positiva” (tacendo il fatto che Mario è un boss mafioso), commetto un errore di vaghezza perché non ho definito cosa si intenda per “positivo”.
La fallacia di falsa causa è infine raziologicamente precisata nei suoi vari componenti (errore di partigianeria, errore di correlazione ecc.) e dimostra quanta poca attenzione la logica classica dava all’interazione con il mondo esterno.
Interessante, modernamente parlando, la fallacia naturalistica: “tutto ciò che è naturale è buono!”, dimenticando le moltissime sostanze naturali nocive e che anche cose naturalissime come il sole o l’acqua (fenomeno dell’iponatriemia) possono fare malissimo.
Fallacia formale
Si ha quando viene applicata una regola di inferenza non valida oppure quando viene applicata una regola di inferenza valida in maniera non corretta. Si veda l’articolo Logica pratica nel quale sono descritte le fallacie formali praticamente utili.
Altre come la falsa dicotomia (fra diverse alternative si suppone che ve ne sia certamente una vera) o l’argomento a catena (la conclusione si basa su passaggi successivi del tutto ingiustificati, anche se teoricamente proponibili ) sono facilmente rigettate e non passano inosservate.
Se, per esempio, a un elettore americano viene detto: “se non voti per il partito repubblicano allora devi votare per il partito democratico” (falsa dicotomia), può facilmente ribattere che potrebbe anche non andare a votare, votare scheda bianca, annullare la scheda ecc.
Analogamente nessuno che voglia fare un discorso razionale sul problema accetterebbe la deduzione finale basata su concetti possibili, ma non dimostrati, di questa argomentazione a catena: “se si legalizza l’aborto, scadranno i valori della società, si diffonderà la pornografia, molti minori subiranno violenze. Ecco perché l’aborto deve rimanere illegale”.

Le fallacie sono errori di ragionamento che possono essere compiuti in maniera più o meno consapevole e compromettere il dialogo
Fallacia di presupposizione
Si ha quando le premesse contengono già quello che la conclusione vuole sostenere. In realtà, appartiene alle fallacie teoriche. A dire il vero alcune vengono usate come timido tentativo di sostenere la propria tesi, ma è evidente che nessuno le accetta “senza discutere”; altre rientrano in errori raziologici più definiti, come la traslazione dello scenario.
Se, per esempio, dico (ignoratio elenchi, le premesse sostengono una conclusione che è diversa da quella che si può dedurre): “A) Il tasso di inflazione è negativo per l’economia; (B) oggi il tasso di inflazione (su base annua) è al 2%, mentre il mese scorso l’inflazione era al 3%; (C) quindi l’economia è in ripresa”, chiunque può obiettare che l’unica cosa che posso dedurre è che l’inflazione è in calo, ma la ripresa dell’economia non dipende certo unicamente dal tasso d’inflazione!
L’unica fallacia pratica di questa categoria è la falsa pista: assumo illecitamente come causa qualcosa che non lo è. Un esempio classico è questo: sono sovrappeso, devo limitare i grassi! In realtà, se sono sovrappeso devo limitare le calorie perché, se anche limito i grassi e mi abbuffo di carboidrati, non dimagrisco di certo!
L’origine della falsa pista (quando non è doloso) risiede sempre in una sostanziale ignoranza del problema, quindi a un interlocutore preparato non è difficile far notare l’errore.
Fallacia di pertinenza
Molte fallacie di pertinenza sono fallacie pratiche, ancora ben radicate nel modo di pensare della gente. Si hanno quando le premesse non hanno un nesso logico con la conclusione che intendono sostenere, sono “irrilevanti”.
Alcune sono teoriche (come per esempio la fallacia ad nauseam, cioè il cercare di dimostrare qualcosa ripetendolo all’infinito o il circulus in demostrando, cioè l’utilizzo come premessa della conclusione che si intende dimostrare), ma altre sono così importanti che meritano un articolo a sé.