In filosofia del diritto e nell’etica, la fallacia naturalistica (commessa dai teorici naturalisti) indica la fallacia di derivare prescrizioni da descrizioni. La locuzione è stata usata per la prima volta dal filosofo inglese G. E. Moore (Principia ethica, 1903). Per Moore, il “buono” implicito nel discorso morale è una nozione semplice e non può essere ulteriormente definita. Cercare di identificarlo con proprietà naturali porta a un errore razionale, la fallacia naturalistica. Quando si ha la pretesa di identificarlo con una qualche proprietà naturale, come per esempio l’utile o il piacevole, si cade nella fallacia naturalistica, che comprende sia le teorie etiche naturalistiche che le teorie etiche metafisiche. In sostanza la condanna della tesi naturalistica si basa sulla distinzione tra i discorsi descrittivi (indicativi) e quelli prescrittivi (direttivi) e con l’impossibilità della logica di passare da un discorso descrittivo a quello prescrittivo. Questa tesi è una riformulazione della legge di Hume secondo la quale è impossibile estrarre conclusioni morali da premesse non morali.
Esempi di fallacia naturalistica
Per la fallacia naturalistica non c’è altra verità se non quella che è stata stabilita come naturale storicamente. Nel XIX sec. la schiavitù era considerata qualcosa di naturale, pertanto “gli schiavi sono socialmente e moralmente inferiori; quindi, non dovrebbero essere rilasciati”.

Affollata vendita di schiavi neri trattati come oggetti a Rio de Janeiro (antica incisione in toni di grigio pubblicata da Rioux in Le Tour du Monde, 1861) Le Tour du Monde, Paris, 1861.
“La natura ci fa ammalare; quindi, non è moralmente giusto interferire con le leggi della natura e utilizzare farmaci non naturali”. “L’omosessualità non è normale (proprietà naturale, dove normale si intende come maggioritario nella popolazione); quindi dovrebbe essere un comportamento moralmente scorretto (proprietà morale)”.
Fallacia ad naturam (appello alla natura)
Applicata alla vita quotidiana, la fallacia naturalistica si traduce in una più generica fallacia ad naturam, a volte definita anche come appello alla natura..
Tutto ciò che è naturale è buono.
La natura suscita una grande influenza su molte persone e su molti ambientalisti, tanto che si è diffusa la credenza che tutto ciò che è naturale sia buono. In realtà solo chi non ha una mentalità moderna e scientifica può credere a questa semplicistica affermazione.
Se è vero che il grosso merito dell’ecologia è aver dimostrato che la natura è un bene a cui l’uomo può rinunciare solo perdendo una parte di sé stesso, tuttavia l’entusiasmo di chi vuole tornare alla natura per trovare la felicità sarebbe giustificato solo se la natura fosse completamente buona, un dio a cui l’uomo deve amore e rispetto, ottenendo in cambio un’esistenza felice.
Moltissime sono le sostanze naturali che sono tossiche o fanno male; anche il caffè ha per l’uomo una dose letale (corrispondente a circa 120 caffè) e in molti individui ha spiacevoli effetti collaterali; un’eccessiva esposizione al sole aumenta la probabilità di cancro alla pelle. Si potrebbe continuare all’infinito per smontare l’uguaglianza naturale=buono.
Dopo gli anni dell’euforia iniziale, ora anche il mondo del naturale a oltranza incomincia a mostrare qualche crepa, a dimostrazione che fra naturale e tecnologico il male non è da una parte sola. Infatti è piuttosto facile dimostrare che molti effetti negativi dovuti al progresso incontrollato si possono ottenere anche dal naturale: se si brucia plastica si ottiene diossina, ma la si ottiene anche se si brucia un albero!
Purtroppo la natura e le sue leggi non sono interessate al singolo individuo, ma alla specie. Alla natura non interessa il deforme Giacomo Leopardi con la sua sensibilità e le sue tragiche sofferenze, alla natura interessa l’uomo come specie animale. Chi crede per esempio che con rimedi naturali si possa curare tutto non ha capito che la natura non vuole salvare il singolo individuo, anzi la morte fa parte del disegno per la salvaguardia della specie, e che quindi non può certo mettere a disposizione dei rimedi con cui il singolo possa prolungare oltre il lecito la sua esistenza. È quindi compito dell’uomo andare al di là della natura e salvaguardare l’individuo. In Italia la vita media agli inizi del 1900 era di 43 anni. Dopo un secolo gran parte dei sostenitori della vita naturale come la migliore possibile (alcuni sarebbero già morti) ha di fronte a sé almeno mezzo secolo di vita proprio grazie a quella scienza che rinnegano.
Sperando che il naturale li salvi, molti scelgono stili di vita che alla maggior parte delle persone appaiono incomprensibili; per esempio sul piano salutistico abbandonano la medicina tradizionale per affidarsi a quella alternativa. Per capire come tale tentativo sia molto superficiale, leggete Medicine alternative o Due test per il terapeuta alternativo.
Se ancora non siete convinti che l’equivalenza naturale=buono sia sbagliata, riflettete:
come può la natura essere completamente buona, visto che ci fa invecchiare e morire?
In altri termini, non esiste nessuna relazione fra buono e naturale.