L’intelligenza acquistiva è la capacità di fare esperienza da sè e da altri, mettendola a frutto per la comprensione della realtà. Classicamente, l’esperienza è la conoscenza di concetti o eventi ottenuta tramite l’interazione o l’osservazione. Di per sé l’esperienza non ha lo stesso peso in tutti gli individui proprio perché l’interazione e l’osservazione sono processi molto complessi. Innanzitutto occorre distinguere l’esperienza da sé da quella da altri.
L’esperienza da sé
L’esperienza da sé è quella che più comunemente viene considerata. È quella che il soggetto acquisisce di persona, sulla propria pelle, vivendo. Non a caso un adulto sbaglia mediamente di meno di un adolescente proprio perché “ha più esperienza”; vivere una situazione già vissuta dovrebbe avere come conseguenza quella di viverla meglio della volta precedente, ovviamente se l’elaborazione dell’esperienza non è stata fallimentare.
L’importanza dell’esperienza da sé è tale da essere riassunta nel classico motto errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
L’esperienza da altri
L’esperienza da altri è quella che il soggetto acquisisce per qualcosa che è accaduto o accade al di fuori di sé, contrariamente alla credenza comune, oggi
l’esperienza da sé dà una minore quantità d’informazione rispetto a quella da altri.
In altri termini, se ci riferissimo alla sola esperienza personale conosceremmo molto poco del mondo.
Come può una persona dire cose sensate sui figli se non ne ha? Come può una persona dire cose sensate sull’adozione se non ha mai adottato un bambino? Come può una persona parlar male di un lavoro se non lo ha mai fatto? Come può una persona dire cose sensate sulla droga se non si è mai drogata? Di esempi come questi ce ne sono a migliaia e sono certo che a questo punto tutti hanno capito: è banale comprendere che non bisogna aver messo le dita nella presa della corrente per capire che è meglio astenersi dal farlo.
Ecco quindi la necessità del naturale passaggio all’esperienza da altri: come vedo gli scempi che la droga fa nella mente e nel corpo delle persone e quindi non mi drogo, ecco che vedo come una certa situazione può peggiorare la qualità della vita della gente e quindi la evito.
Possiamo parlare di esperienza da altri diretta o indiretta. La prima l’abbiamo osservando o interagendo direttamente con le persone, in modo naturale, senza doverci preoccupare di studiare, cioè di acquisire dati con un’azione mirata all’acquisizione; la seconda è invece basata sullo studio, cioè quell’insieme di tecniche e di strategie che utilizziamo per acquisire conoscenza.
Attualmente la distinzione fra le due forme è meno netta che per esempio un secolo fa, quando quella diretta era basata soprattutto sul contatto fisico con le persone; oggi lo sviluppo dei media porta nelle case moltissima informazione su ciò che accade agli altri nel mondo. Anche inconsciamente siamo condizionati dalle notizie che sentiamo nei telegiornali o da quelle che leggiamo sul giornale; se nella nostra città accadono molti fatti violenti, ecco che saremo portati a credere che la nostra città sia pericolosa, anche se nessuno di questi fatti è accaduto direttamente sotto ai nostri occhi. Ovviamente, un’informazione scorretta può alterare la nostra esperienza da altri diretta.
Per l’esperienza indiretta (studio) il problema della corretta informazione è sempre esistito e si trasforma nel problema della validazione delle fonti.

La definizione classica di esperienza è “conoscenza di concetti o eventi ottenuta tramite l’interazione o l’osservazione”
L’elaborazione
Prima di procedere nella descrizione di come questa elaborazione possa essere ottimizzata, è necessario ricordare che esistono molti individui che negano alla base, inconsciamente, il valore dell’esperienza (negazione dell’esperienza). Pensiamo alle persone che non sopportano di sbagliare, che si autopuniscono per i loro errori o peggio che tendono a punire con eccessiva severità chi sbaglia; non hanno capito che nessuno può pretendere di capire la vita senza l’esperienza: la ragione, da sola, non basta.
Per convincersi, si consideri una persona molto intelligente che non sa giocare a scacchi e una persona mediocre che gioca da una vita. Il nostro genio si compra un libricino, impara le regolette del gioco (non ci vuole più di un’ora) e poi, dall’alto della sua intelligenza, decide di sfidare il nostro giocatore da caffè. Ebbene, nonostante quello che può pensare la maggioranza delle persone, il nostro genio farà una figuraccia perché gli scacchi, come la vita, sono soprattutto una questione di esperienza. È chiaro poi che, a parità di esperienza, conta la capacità di capirla, di elaborarla.
Accanto alla negazione dell’esperienza troviamo due figure opposte nella gestione dell’esperienza, il recidivo e il praticone.
Il recidivo è colui che fa sempre gli stessi errori e, di fatto, resta esistenzialmente sempre al punto di partenza.
L’esperienza deve servire per fare le scelte giuste, mutando regole sbagliate in regole corrette: se non lo facciamo (si può continuare a perseverare nello stesso errore per l’incapacità di assimilare il processo che serve per evitarlo o per la pigrizia nel cambiare la propria vita o per altri mille motivi) tutta la nostra fatica è sprecata, siamo esistenzialmente stupidi.
Come dobbiamo essere indulgenti con noi stessi al primo errore, così dobbiamo essere spietati quando lo ripetiamo: solo con questo atteggiamento riusciremo a migliorare la qualità della vita.
Il praticone è colui che vive di sola intelligenza acquisitiva; poco razionale (al più dedito a una falsa cultura) e disinteressato all’intelligenza psicologica (anche se in genere non ha una situazione esistenziale particolarmente critica), ripone tutta la sua capacità di capire il mondo sull’esperienza: “se non provi, non sai”, è il suo motto.
In genere si tratta di un soggetto che ha una comprensione molto limitata delle cose perché di fatto elimina l’immenso bagaglio di dati che viene dall’esperienza da altri. Nei casi peggiori, il praticone non è nemmeno in grado di accorgersi che certe esperienze sono devastanti in quanto irreversibili.
La distorsione
La distorsione dell’esperienza (cioè un errore nella valutazione di quanto accade) è un fenomeno molto complesso;
tale distorsione è minore quanto più la persona è equilibrata.
La personalità equilibrata è un osservatore imparziale della realtà, non introduce nessun abbaglio. Con un’analogia pensiamo al semplice problema fisico di valutare la velocità di un treno. Se noi siamo su un altro treno, ma non lo sappiamo e riteniamo di trovarci sulla terra ferma, la velocità che misureremo sarà del tutto inesatta; paradossalmente potremmo ritenere che il treno sia fermo se si muove alla stessa velocità e nella stessa direzione del nostro.
L’importante è “essere fermi” e tale condizione si ottiene solo se si è equilibrati, cioè se non si hanno componenti critiche nella propria personalità, componenti che distorcono la nostra “misurazione” del mondo. Ne deriva che
l’intelligenza acquisitiva dipende da quella psicologica.
Una bassa intelligenza psicologica (una personalità poco equilibrata) distorce l’intelligenza acquisitiva.
Pensiamo a un soggetto fobico che ha un’iniziale diffidenza verso i cani; se viene morso da un cane, l’evento sarà traumatico ed ecco che fuggirà da ogni cane, anche da quello più microscopico. Tale atteggiamento è ritenuto “normale”, ma è del tutto equivalente a quello della persona che, subita una rapina, rifugge da ogni uomo e si ritira su un monte a fare l’eremita!
Ovviamente la distorsione può essere parziale e riguardare solo alcune esperienze; in particolare riguarderà quei campi di applicazione dove le componenti critiche della personalità si faranno più sentire. Un debole, per esempio, difficilmente valuterà in modo imparziale e distaccato quelle esperienze lavorative che coinvolgono conflitti fra persone; analogamente un insoddisfatto non saprà valutare in modo equilibrato i risultati che ottiene ecc.
L’aspetto più grave della distorsione è che riguarda sia l’esperienza da sé che quella da altri. Infatti la prima predomina sulla seconda. Se il soggetto ha una cattiva esperienza da sé in un determinato ambito, non riuscirà a usufruire positivamente dei dati provenienti dall’esperienza da altri nello stesso ambito.
Pensiamo per esempio a chi ha un rapporto non equilibrato con il partner, con i genitori o con i figli: anche osservando altre coppie, altri genitori, altri figli, la sua esperienza da altri gli arriverà filtrata dalla sua esperienza da sé e, se questa è distorta, non riuscirà a “vedere la realtà”. Una persona che teme di essere lasciata porrà un’eccessiva attenzione ai tradimenti, alla noia nel rapporto ecc. sovrastimando tutti questi fattori; una persona che pensa di essere discriminata per una sua caratteristica sovrastimerà le discriminazioni in base a quella caratteristica che vedrà negli altri intorno a sé.
Anche nel caso dell’esperienza da altri indiretta, si può avere una distorsione informativa dovuta all’esperienza da sé; per esempio, un estremista sarà portato a non accettare fonti che altri ritengono autorevolissime e molto affidabili.