Nella ricerca di un obiettivo l’errore di aspettativa sovrastima un fattore per soddisfare il proprio desiderio che tale obiettivo sia raggiunto (si potrebbe anche chiamare errore di importanza). Differisce dall’errore di quantificazione perché il fattore in questione spesso non ha nemmeno una dimensione quantificabile, ma “per fede” viene ritenuto importantissimo, fondamentale. Differisce dalla percezione selettiva perché non si selezionano le informazioni, ma si ingigantisce l’importanza di alcune di esse.
Di fatto, chi cade nell’errore di aspettativa tende a sopravvalutare la propria realtà alterando l’importanza dei fattori che lo circondano. Chi vuole uscire dalla propria mediocrità spesso dà importanza a pochi fattori, i suoi (quelli cioè dove è “importante”), nell’illusione che abbiano un’elevata importanza oggettiva.
È sorprendente come spesso l’errore di aspettativa sia legato al tentativo di mutare la realtà a proprio favore: si dà rilievo a fattori insignificanti che però “migliorano” la nostra posizione nell’ambiente in cui ci muoviamo. In questo modo ci si illude di comprendere e dominare il mondo.
Meglio Marilyn Monroe vestita di stracci che una vecchia megera con un abito firmato.
La frase riportata sopra riguardante Marilyn (potevamo usare un altro sex symbol, ma il mito di Marilyn è ormai immortale) spiega perfettamente l’errore: quante donne (anche gli uomini ovviamente lo fanno) prestano attenzione a particolari insignificanti nel tentativo di gareggiare in bellezza o in fascino con chi è naturalmente più bella o più elegante? Immaginiamoci la scena: due donne sui quaranta che non erano state belle nemmeno a venti, divorate dalla cellulite e con venti chili di troppo, ma vestite con un bell’abito firmato e perfettamente truccate e Marilyn che entra nella sala della festa. Le due donne la guardano e commentano: “Come si fa a venire a una festa come questa con un abito acquistato al supermercato? Guarda poi quella collana di bigiotteria e non si è nemmeno dipinta le unghie delle mani! E quelle scarpe poi… come stonano con il vestito!”. Le critiche si sprecano mentre gli occhi degli uomini si spostano sempre più su Marilyn (gli uomini non guardano le unghie delle mani!). Le due cozze se ne accorgono e una delle due dice all’altra: “Ma che cosa avrà più di noi quella sciattona?”. L’altra analizza la situazione e conclude convintissima: “Non è che una donna di facili costumi e gli uomini sono così stupidi da correrle dietro”.
Errore di aspettativa: nella ricerca scientifica
L’errore di aspettativa (effetto aspettativa, effetto Rosenthal o, in campo educativo, effetto Pigmalione), si ha quando il ricercatore distorce i dati di un esperimento mosso dall’aspettativa che egli ha in merito al risultato della ricerca. Lo psicologo R. Rosenthal fu il primo a studiarlo, convinto che i ricercatori possano influenzare la realtà e dare origine a una profezia che si autoavvera. Intendiamoci, non si tratta solo di interessi economici e/o di carriera, ma anche delle preferenze del ricercatore. Così, il vegetariano “interpreterà” i dati per dimostrare che la carne fa male, il sedentario che lo sport è altamente controindicato ecc. Non accade sempre, ma l’errore di aspettativa è più comune di quanto si possa supporre. Vediamo un esempio.

Realtà vs. aspettativa
Dopo una certa età, correre a lungo (oltre 30-40 km a settimana) e velocemente (più di 12 km/h) fa male, accorcia la vita e aumenta il rischio di infarto, portando danni al cuore simili a quelli di chi è malato di sedentarietà. È quel che emerge da due studi, uno dei quali durato 30 anni, pubblicati dal British Medical Journal e riportati dal Wall Street Journal. Si tratta di un limpido caso di seminformazione: i ricercatori presentano dati esatti e fanno giungere l’ascoltatore a conclusioni errate, proponendo loro stessi una discutibile interpretazione. A parte il fatto che è ridicolo definire “estremo” il correre a 5’/km (12 km/h; anche se siete sedentari, provate a fare 100 m a questo ritmo e vi sfido a dire che state correndo “velocemente” e in modo “estremo”), nella ricerca c’è un grossolano trucco statistico che spiego nel mio testo Migliora la tua intelligenza: si chiama errore della classe di riferimento.
Per capire l’errore, un esempio. Io sono un ricercatore anoressico e voglio “dimostrare” (senza imbrogliare) che assumere più di tot calorie accorcia la vita. Come faccio? Imposto “solo” due classi di riferimento: chi mangia più di 1.600 kcal al giorno e chi ne mangia di meno. Il trucco consiste nello scegliere un valore basso che possa riguardare moltissime persone. Con un tale valore tutti i sovrappeso e gli obesi figurano nella categoria B (la A è quella di coloro che mangiano meno di 1.600 kcal al giorno), di fatto salutisticamente affossandola; al ricercatore risulterà molto facile dimostrare che “mangiare fa male!”. Se avesse preso non due, ma almeno 10 categorie (per esempio da 1.600 in poi con scarti di 200 kcal), avrebbe scoperto che “mangiare troppo fa male”, che è quello che tutti sappiamo!
Così nel nostro caso aver diviso i runner in sole due categorie, li condanna tutti. In realtà, altre ricerche più precise (ricordate che meno categorie ci sono in una ricerca e meno è precisa) dimostrano chiaramente che il massimo salutistico si ha per cinque-sei ore di esercizio e poi decresce fino ad andare sotto la soglia del sedentario per atleti che superano le dieci ore. Come per il cibo, troppa corsa fa male, ma nessuna corsa fa peggio!
Errore di aspettativa: nella finanza
Una delle prove dell’irrazionalità degli investitori è sicuramente il fatto che l’aspettativa segue le prestazioni passate, soprattutto quelle recenti. Molti esperimenti dimostrano che le previsioni di rendimento degli investitori sono tanto maggiori quanto maggiori sono stati i rendimenti dell’ultimo periodo (per esempio un anno). Ciò contrasta con il fatto che, spesso, a un periodo di rialzo ne segue uno di ribasso e viceversa; sembrerebbe cioè che l’investitore tenda a staticizzare il mercato in cui è, forse per l’innato desiderio della sicurezza conseguente alla stabilità.
Riconoscere l’errore di aspetttiva
Come riconoscere facilmente l’errore di aspettativa, senza dover entrare nel merito delle singole ricerche come abbiamo fatto nel paragrafo precedente? Semplice, spesso basta il buon senso e l’applicazione del Ma se… Si analizza la ricerca e la si confuta trovando una situazione che clamorosamente la smentisce. Vediamo un esempio.
Una ricerca (si fa per dire) della Emory Rollins School of Public Health avrebbe dimostrato che “la religione aiuta a vivere più a lungo, la scienza lo conferma” (questo l’assurdo titolo dell’ANSA). I poveri (di spirito critico) ricercatori avrebbero scoperto che chi aveva frequentato funzioni religiose almeno una volta a settimana aveva un rischio di mortalità inferiore del 40% rispetto a chi non aveva mai partecipato. L’hanno sparata grossa: -40%. Ma sanno ragionare? Ma se fosse vero perché in Cile e in molti Paesi dell’America del Sud (cattolicissimi) hanno un’aspettativa di vita inferiore di 3-5 anni rispetto alla Francia dove il 50% della popolazione non è credente?