Il dialogo è sicuramente un’arma molto potente per acquisire esperienza da altri e per migliorare la propria visione del mondo. Non sempre però è condotto in modo ottimale, portando in strade senza uscita, inasprendo gli animi di chi dialoga e risultando alla fine sterile, se non addirittura negativo. L’etimologia del termine: deriva dal latino dialogus, in greco antico dialogos, derivato dal corrispondente verbo il cui significato era “conversare”.
I nostri limiti
Non è difficile sintetizzare alcuni fattori necessari affinché il dialogo sia una buona conversazione.
Chiarezza – Se si è approssimativi o confusi, non si può pretendere di essere capiti. Spesso le persone non si intendono perché partono da definizioni diverse dello stesso concetto. È pertanto buona norma cercare di definire i concetti che vengono usati con accezioni leggermente diverse rispetto al senso comune e verificare cosa intende l’interlocutore per i concetti più importanti che usa. Evitare gli equivoci.
Sinteticità – Un’idea espressa in modo molto prolisso perde di efficacia perché l’essenziale annega nel superfluo, poco importa che il superfluo sia creativo, poetico, coinvolgente ecc.
Gli scopi – L’esposizione delle proprie posizioni deve avere un fine. Esporre concetti per il piacere di dialogare è una forma sterile di utilizzo del linguaggio. Una discussione è inutile quando ha una probabilità minima di essere reale, cioè, in altri termini, è aria fritta e viene portata avanti solo per il piacere di dialogare.
L’autoverifica – Occorre una sostanziale capacità di mettere in discussione sé stessi e le proprie idee, prima ancora di farlo con quelle dell’altro. Pertanto, è importante verificare la propria idea. Spesso si scopre che la nostra esposizione troppo affrettata può essere facilmente attaccata, dar luogo a fraintendimenti ecc. Se, per esempio, uso una frase del tipo “gli italiani sono pigri” mi si può banalmente contestare il fatto che “molti non lo sono”. Se la stessa frase diventa “molti italiani sono pigri” è molto più difficilmente contestabile.
Chi scrive deve possedere la capacità di autoverificare quello che dice. Se una frase non regge, è inutile usarla lo stesso solo perché è “a effetto”. Non si partecipa per il piacere di dialogare, ma per dire qualcosa di costruttivo!
Principio di Albanesi
Se è banale trovare una confutazione a una mia frase, forse è meglio che stia zitto o che la formuli meglio.
La controparte
Una regola ovvia, ma che pochi tengono presente è che:
il dialogo è costruttivo solo se i dialoganti sono compatibili.
La compatibilità potrebbe essere appurata verificando che per lo meno i punti di partenza della trattazione di un argomento siano comuni. In realtà, una verifica è quanto mai laboriosa e nessuno la fa a priori; si preferisce tuffarsi nel dialogo e… vedere cosa succede.
Praticamente, cosa denota l’incompatibilità, cosa dovrebbe metterci in guardia? La risposta è semplice: la distanza delle posizioni. Analizziamo alcuni scenari.
Primo scenario
Analizziamo la frase:
Voto per il partito X perché lo ritengo il migliore.
Penso che tutti la ritengano accettabile e che nessuno tacci chi la dice di essere antidemocratico o peggio. La frase però potrebbe essere espressa anche attraverso una serie di proposizioni il cui insieme è equivalente:
Non voto per il partito Y1 perché non lo ritengo il migliore.
…
Non voto per il partito Yn perché non lo ritengo il migliore.
Anche in questo caso probabilmente nessuno avrebbe da eccepire sulla mia democraticità.
Andiamo oltre con l’affermazione:
(1) Il partito Y non è affatto il migliore.
oppure
(2) Il partito Y è il peggior partito.
Anche in questo caso mi si potrà contestare, ma nessuno si offenderà, poiché la (2) fa parte del normale linguaggio politico.
Secondo scenario
Se sostituiamo l’ambito politico con quello religioso, vediamo che le cose cambiano e ci sarà qualche integralista che di fronte alla frase:
(3) la religione Z non è certo la migliore.
si offenderà.
Qual è la differenza fra il primo e il secondo scenario? Nel primo possono esistere comunque molti punti condivisi, per esempio entrambi i contendenti riconoscono la democraticità dell’altro. Nel caso religioso si parte già dal fatto che le religioni sono mutuamente esclusive, tanto che in genere le persone non passano da una all’altra con la stessa facilità con cui cambiano partito politico. Le religioni sono fra di loro molto più distanti dei partiti.
Terzo scenario
Studiando il comportamento di chi dialoga, si scopre che il risentimento del secondo scenario è presente usualmente anche nelle discussioni fra individui che toccano argomenti molto meno importanti della religione.
Supponiamo che io neghi con fermezza il concetto C:
(4) C è una sciocchezza abissale.
Significa che la proposizione C è molto distante dalle mie idee.
Alla locuzione sciocchezza abissale si potrebbe sostituire una serie infinita di locuzioni più o meno pesanti, dai tranquilli sbagliata, inutile ai più fermi palesemente sbagliata, priva di spessore logico ecc. per arrivare ad aggettivi o locuzioni terribili come da idioti, da incompetenti ecc.
La scelta dipende dal grado di forza con cui noi ci poniamo nei confronti del nostro interlocutore e da quanto vogliamo fargli capire la nostra distanza dalle sue posizioni. Se una persona asserisce che la Terra è piatta, potrei rispondere con un “Secondo me non è così” oppure con un “Ma che sciocchezze stai dicendo?”.
Un debole che non vuole conflitti sceglierà la prima soluzione. L’interlocutore inizierà la discussione, ma, se è fermamente convinto della sua tesi, sarà lui a usare un atteggiamento aggressivo. Il debole non potrà far altro che soprassedere.
Chi possiede una forza calma userà un aggettivo commisurato a quanto ritiene errata la proposizione C. Nel caso in cui usi una locuzione come è un’affermazione ridicola, vuole evidenziare l’enorme distanza fra le posizioni per cui, probabilmente, non ha nemmeno senso iniziare una discussione perché le due persone si muovono in due logiche diverse (ricordo che se le regole logiche e i nostri postulati – le affermazioni che riteniamo vere senza la necessità di una dimostrazione – sono incompatibili, ogni dialogo è inutile). L’interlocutore sarà rimasto della sua idea, ma almeno io non avrò perso tempo.
In questi casi estremi (questo è il terzo scenario) non c’è dialogo. Ripeto:
- il fatto che non ci sia dialogo non è negativo, perché le posizioni sono così distanti e incompatibili che è assurdo dialogare. L’utopistica convinzione che si possa sempre dialogare non analizza a priori la “compatibilità delle parti”. Per fare un esempio forte, sarebbe ridicolo cercare il dialogo con chi mi rincorre con una pistola in mano per spararmi.
- L’uso di affermazioni forti non deve essere scambiato né per violenza, né per assenza di calma. Non è violento perché sto esercitando un mio diritto, cioè dire ciò che penso nei limiti della legge. Il danno che ne può ricevere la persona è legato al suo risentimento ed è oggetto dell’articolo sulla difesa per risentimento; è un suo problema, non un mio problema. È mia convinzione che il primo emendamento della costituzione americana (che garantisce la libertà di parola e di stampa, di pacifica assemblea, e di esercizio della propria religione) sia uno dei concetti fondamentali per il progresso dell’umanità. Non è assenza di calma perché non c’è (non ci deve essere) ira: fermezza, ma senza collera.
L’analisi dei tre scenari dovrebbe aver mostrato che prima di ogni dialogo si deve sondare la compatibilità con il dialogante. Visto che è assurdo proseguire il dialogo, cosa fare se questa compatibilità manca? Risalire usando un approccio top-down.

Platone compose quasi tutte le sue opere sotto forma di dialogo (dialoghi di Platone, ben 34)
La differenza di vedute
Secondo alcuni il dialogo fra persone deve essere sempre ricercato, partendo dalla buona volontà di cercare la verità. In teoria il discorso non fa una grinza, ma in realtà questo atteggiamento diventa un boomerang perché spesso di fatto non risolve nulla!
Nei casi più critici, tutti, prima o poi, devono arrendersi e ammettere che il dialogo non è servito altro che a chiarire le reciproche posizioni. Questa situazione è molto più comune di quanto si pensi ed è per questo che è importante valutare subito l’eventuale incompatibilità con l’interlocutore.
Le incompatibilità possono dipendere:
- dagli assiomi diversi da cui si parte. Se gli assiomi della mia logica sono diversi da quelli del mio interlocutore arriverò a risultati diversi. Esempio: se una persona mi dice: “Dio ha detto X” e per me X non è fra gli assiomi o è addirittura sbagliato, se io non riconosco il suo Dio, il dialogo finisce subito, il mio interlocutore non accetterà mai di mettere in discussione un suo assioma (la parola di Dio).
- Dalla logica. Non è così banale possedere un minimo di logica, come molti danno per scontato. Se così fosse, la gente non si farebbe infinocchiare dalle tante promesse impossibili che il nostro sito combatte. Bisogna rendersi conto che la stragrande maggioranza della popolazione non sa ragionare bene e prende decisioni più su base emotiva che razionale.
- Dai dati. Questa è una cosa che spesso si sottovaluta, ma gli errori interpretativi dipendono non solo dall’assenza di logica, ma anche dall’assenza o dalla cattiva interpretazione dei dati. Si prenda per esempio il danno che fa la diffusione mediatica di ricerche dubbie e si capirà che se Tizio interpreta una ricerca come verità assoluta e Caio storce il naso, i due non si accorderanno mai. Per esempio, in campo politico c’è chi dell’11 settembre dà interpretazioni totalmente diverse. Come si può pensare veramente che con il dialogo su tale fatto si possa capire al 100% com’è andata? Senza avere tutte le informazioni?
- Dalla psicologia dell’interlocutore. Non esistono solo l’intolleranza e l’aggressività o la difesa dei propri interessi, ma anche un mare di altri difetti psicologici: superbia, amor proprio, partigianeria, permalosità, paure ecc. Tali difetti inquinano l’oggettività di chi dialoga.
- Dalla disposizione a cercare la verità. Molte persone sono già sicure di aver trovato la verità e non hanno nessuna voglia di discuterla. Se questo sembra un atteggiamento negativo è opportuno riflettere: se una persona vive bene e non ha problemi con la sua verità perché mai dovrebbe metterla in discussione? Solo l’esistenza di una forza superiore cui render conto potrebbe motivare la discussione. Per questo io non contesto mai le posizioni altrui se l’altro si dice soddisfatto della sua vita; mi permetto di farlo se inizia con una sfilza di problemi!
La polemica
Compresi i motivi che rendono difficile il dialogo, vediamo alcune tecniche per superarli almeno in parte. Pensiamo a una discussione politica fra un sostenitore del centro-destra e uno del centro sinistra, entrambi in totale buona fede. Chi può essere così ottimista da pensare che arrivino, dopo qualche scambio di commenti, a una posizione comune? Lo scopo del dialogo in rete deve essere quello di esporre idee e fatti, non quello di farsi dare ragione.
A volte, nonostante la buona volontà dei due interlocutori, non è possibile arrivare a nulla di concreto, a una posizione comune più innovativa delle precedenti (o magari coincidente con una delle precedenti). Chi è polemico (una forma di violenza non criminale) può avere la tendenza a continuare all’infinito il discorso. Chi invece non lo è, deve tendere durante il difficile dialogo a capire i punti di incompatibilità, evidenziandoli all’altro. Una volta scoperti, la cosa migliore da farsi è prendere atto di queste incompatibilità e andare ciascuno per la propria strada.
In sostanza la polemica è accresciuta da:
- allargamento ad altri argomenti connessi al tema principale;
- continua riproposta della propria posizione, in mille salse;
- ragionamenti in termini di giusto/sbagliato anziché di coerente/incoerente. Può essere molto superbo pensare che su un argomento sia possibile una sola strada.
La polemica è smussata da una confutazione intelligente. La strategia migliore è sicuramente quella di evidenziare problemi (il termine va inteso nell’accezione più vasta possibile) nell’altrui posizione. Magari il nostro interlocutore non si convincerà subito, ma poi i fatti della vita gli dimostreranno che i nostri rilievi hanno pregio. Se devo convincere una persona che il sovrappeso è negativo, non è produttivo (fra l’altro, potrebbe generare una difesa per risentimento) citare tutto ciò che di positivo mi accade perché sono magro; è sicuramente più convincente citare tutti i problemi di chi normopeso non è. Se l’altro è intelligente, riflette sui “problemi” mostrati.
Regola della contestazione – Spesso è inutile contestare una persona partendo dal proprio punto di vista, dai propri assiomi (meditate a fondo sull’articolo Etica). Per farlo in modo costruttivo, non usate le vostre regole, ma dimostrate che dalle regole dell’interlocutore si arriva a conclusioni assurde, a problemi, a posizioni irrealistiche. Se questo non è possibile, magari riflettete sul fatto che le sue regole sono più efficienti delle vostre.
L’arringa finale – Se le posizioni sono troppo distanti, si deve cercare di evidenziare i punti di incompatibilità risalendo fino a trovare una condizione molto generale, ma accettata da entrambi (approccio top-down). Se le differenze sono veramente enormi, se per me è un diritto ciò che per te è un delitto, il dialogo diventa inutile se va oltre la semplice esposizione della propria posizione. Occorre parlare non all’altro, ma a un’ipotetica giuria, una sola volta, come in un’arringa finale che deve rimanere scolpita nelle menti dei due dialoganti. Il tempo e le loro esperienze saranno i giudici imparziali che emetteranno il verdetto.