Le curiosità logiche aiutano a riflettere sui limiti del nostro pensiero. Il limite della logica e della matematica nello sviluppo della razionalità consiste essenzialmente nello scollamento con il reale. In questo articolo esaminiamo alcuni problemi classici, importanti per lo studioso, ma “irrilevanti” per l’uomo della strada. Ovviamente in questo articolo il tutto viene visto con l’occhio della gente comune.
NOTA – Si tratta di capire come una disciplina possa confutarne un’altra dal di fuori, senza cioè usare le regole della stessa. Se io parlo con un sostenitore dell’omeopatia (esistono opere imponenti a riguardo), egli spiegherà “tutto” stando dentro la sua teoria, ma è banale confutarlo uscendo da essa e usando per esempio la chimica. Ogni disciplina sta nella dimensione della Realtà. I numeri per esempio non appartengono alla matematica, ma alla Realtà. Qui si vuole solo mostrare che l’informatica e il buon senso spiegano alcune realtà meglio della matematica. Per questo la multidisciplinarietà è importante e tipica delle persone più concrete. Lo stesso concetto di dimostrazione non è esclusivo dominio della matematica; pensiamo al pubblico ministero che convince la giuria dicendo:” Vi ho dimostrato che Tizio è effettivamente un pedofilo ecc. “. Il matematico che fa? Si mette a cavillare e assolve la persona?
Il limite del linguaggio
Per l’uomo comune è sempre stata importante la concretezza delle sue azioni e la sua “logica” si è spesso convertita alla funzionalità. Un esempio di ciò è dato dalle due frasi:
- a me piacere le mele
- l’anatra petrolifera dipingerà bontà dorate.
La seconda è sintatticamente perfetta, ma non significa nulla e tutti riterrebbero pazzo (o un agente della CIA che si esprime in codice) chi andasse in giro parlando così. La prima è scorretta, ma tutti capiscono, al più parlano di distorsione grammaticale del linguaggio.
La necessità di “comprendere” velocemente ha cioè reso il linguaggio umano poco efficiente dal punto di vista della razionalità. In particolare, di una stessa parola possono esistere più definizioni; se si pensa che una normale breve “dimostrazione” può contenere almeno 20 parole importanti, attribuendo a ognuna di esse anche solo due possibili significati leggermente diversi fra loro, si calcola subito (ecco l’importanza di una mentalità scientifica) che ci saranno un milione di interpretazioni differenti! Questo breve esempio mostra come sia molto difficile arrivare a oggettivare una posizione con il solo linguaggio (per questo il Personalismo si avvale di dati sperimentali sulla popolazione). Ma si può andare oltre. Vediamo due semplici paradossi.
Paradosso 1 (paradosso del mentitore) – Questo enunciato è falso. Se l’enunciato fosse vero allora sarebbe falso e se fosse falso sarebbe vero!
Paradosso 2 (paradosso degli insiemi o antinomia di Russel*) – Esistono insiemi (cataloghi delle sezioni di una biblioteca, in una versione più concreta del paradosso) che contengono sé stessi (R) e insiemi (cataloghi) che non contengono sé stessi (NR). Consideriamo l’insieme di tutti gli insiemi NR (catalogo di tutti i cataloghi NR): sia M. Se M è un insieme NR, esso appartiene a M per la stessa definizione di M e allora è un insieme R per la definizione di insieme R. Se viceversa M è un insieme R allora, per la definizione di M, esso non appartiene a M, ossia non appartiene a sé stesso, ossia è un insieme NR. In entrambi i casi si cade in contraddizione.
Raziologicamente parlando, i due paradossi si basano su proposizioni non esprimibili, cioè del tutto inutili a priori perché di fatto non hanno un significato, ma sono solo il trionfo della parte grammaticale sulla dimensione semantica. In alcuni casi, come nel paradosso del mentitore, la proposizione non è esprimibile proprio come “tutti i cavalli leggibili sono neri” e quindi viene rigettata senza analisi; in altri, come per l’antinomia di Russel, è possibile apportare correzioni. Infatti per mantenere l’esprimibilità, nel paradosso degli insiemi non è possibili ricondurre classi diverse di oggetti allo stesso tipo perché ciò genera confusione con un azzeramento della comprensione. Per mantenerla è necessario chiarire che esistono solo insiemi (che non contengono sé stessi) e selfinsiemi (che contengono sé stessi). Si può considerare “l’insieme di tutti gli insiemi”. Allora esso non contiene sé stesso (è un insieme), ma dovrebbe contenersi per definizione. Si ha una contraddizione e la proposizione “esiste l’insieme di tutti gli insiemi” non è esprimibile. Si consideri invece “il selfinsieme di tutti gli insiemi”: esso contiene tutti gli insiemi e inoltre contiene sé stesso (è un selfinsieme): tutto è corretto.
* I termini vengono usati spesso impropriamente; in linea di principio, il paradosso è una conclusione logica non contraddittoria che si oppone al senso comune, l’antinomia è una contraddizione.

La necessità di “comprendere” velocemente ha reso il linguaggio umano poco efficiente dal punto di vista della razionalità
Il limite della matematica
Molti sono portati a credere che l’espressione massima della razionalità si abbia con la matematica. Ciò non è assolutamente vero poiché la matematica si muove spesso in ambiti astratti (si veda per esempio la differenza fra logica matematica e logica nativa). Se può esaltare al massimo le capacità logiche, non essendo sperimentale non è in grado di far progredire il buon senso della persona; se abitua al trattamento numerico della realtà, può portare a un’eccessiva pignoleria delle soluzioni, soprattutto quando maneggia concetti distanti dalla realtà comune come il continuo o l’infinito.
In particolare, la gestione dell’infinito è ciò che rende la matematica molto più astratta di scienze come la fisica o l’informatica. Probabilmente il massimo grado di allenamento alla razionalità si ha nelle discipline che “usano” pesantemente la matematica, ma si applicano al mondo reale.
Prima di vedere due casi in cui la soluzione matematica (peraltro brillante) sfugge a quel requisito di “buon senso” che è uno dei fattori della razionalità, vorrei invitarvi a verificare la differenza fra un approccio informatico a un problema nei due articoli:
Il paradosso di Achille e la tartaruga (Zenone di Elea) – Il piè veloce Achille deve raggiungere una tartaruga che ha un certo vantaggio, diciamo il tratto AB:
A_______________B________C____D
Quando Achille sarà in B, la tartaruga sarà in C; quando Achille arriverà in C la tartaruga sarà in D e così via. Per quanto si avvicini Achille non raggiungerà mai la tartaruga.
La matematica arrivò a spiegare il paradosso solo nel XVI sec. introducendo il concetto di convergenza di una serie infinita. Diventa abbastanza evidente che “deve” esserci una spiegazione più semplice perché altrimenti un concetto quotidiano come il moto per essere compreso in un suo aspetto fondamentale necessita di competenze sofisticate. Si può cioè ammettere la scarsa intuitività di una spiegazione, ma peggio sarebbe dover ricorrere a mezzi che non sono “per tutti”. Informaticamente il tutto è invece molto semplice.
Un elaboratore considera lo spazio e il tempo discreti; il quanto spaziale (odone) e il quanto temporale (cronone) sono i più piccoli intervalli di spazio e di tempo esprimibili. Il vantaggio della tartaruga è via via più piccolo; quando raggiunge la dimensione di un odone, basta che la velocità di Achille sia di un odone/cronone superiore a quella della tartaruga perché al cronone successivo ci sia il ricongiungimento e l’eventuale sorpasso. Sostanzialmente il ragionamento di Zenone sembra corretto perché noi assumiamo lo spazio e il tempo continui; se li assumiamo discreti, l'”e così via” del discorso zenoniano non ha senso.
Per chi non ne fosse ancora convinto, propongo la seguente versione del paradosso di Zenone. Un orologio segna le due. La lancetta delle ore (che è più lenta, tartaruga) ha un certo vantaggio su quella dei minuti (che è più veloce, Achille). Il sorpasso è reso possibile dal fatto che il movimento delle lancette è discreto, anche se a un osservatore distante potrebbe sembrare continuo; ogni minuto entrambe avanzano, la lancetta delle ore di un tratto angolare α, quella dei minuti di un tratto 12α. Il vantaggio iniziale è di 120α. All’undicesimo minuto si ha il sorpasso.
La corrispondenza dei quadrati – Per un matematico è possibile porre in corrispondenza biunivoca i numeri naturali con i loro quadrati: a 1 corrisponde 1, a 2 4, a 3 9 e così via; dato un quadrato si risale sempre all’intero corrispondente. Secondo il buon senso (proposizione Z), non è invece possibile stabilire una corrispondenza biunivoca fra un insieme G e una sua parte propria S. Poiché S (per esempio i naturali quadrati) è un sottoinsieme di G (i naturali) come è possibile che a un elemento di G corrisponda sempre un elemento di S?
Vediamo come si dimostrerebbe la proposizione Z. Le operazioni che seguono devono intendersi fra insiemi.
- Sia F= G-S. Supponiamo che esista una corrispondenza biunivoca
- G <– φ –> S, cioè
- (S U F) <– φ –> S, dove U è il simbolo di unione di insiemi.
Analizziamo i seguenti passi:
- La φ farà corrispondere a ogni elemento di S un elemento di S (sφ indica l’elemento corrispondente; nell’esempio dei quadrati 4φ = 16, 9φ = 81 ecc.).
- Poiché gli elementi di S sono tanti quanti gli elementi di S,
- ogni elemento di S sarà l’immagine di un elemento di S,
cioè per ogni s appartenente a S esiste un s tale che:
(1) sφ = s. Ma allora, preso un f appartenente a F e considerato
(2) fφ = s* è possibile trovare per la (1) un s* appartenente a S tale che
(3) s*φ = s*con s* ≠ f.
La (2) e la (3) ci dicono che la φ non è univoca.
Cosa obietterebbe un matematico? Che il punto b è scorretto!!! Cioè che esso è un’ipotesi gratuita e piuttosto riduttiva e che vale solo per il senso comune (io direi buon senso). Riesce veramente difficile credere che non valga anche per un insieme infinito. Piuttosto è il matematico che, pensando alla corrispondenza fra naturali e quadrati, trasgredisce la (b). Infatti se G è l’insieme degli interi, F è l’insieme degli interi non quadrati e S è l’insieme degli interi quadrati, preso un opportuno elemento di S (per esempio 3.600), la (1) non è vera (infatti 60 appartiene a F). Ciò vuole dire che quando pensa S come sottoinsieme di G è costretto a pensarlo meno numeroso di quando lo pensa come insieme a sé stante. In sostanza, per lui sia S pensato come sottoinsieme di G (SG), sia S pensato come insieme a sé stante (SS) si espandono dinamicamente, ma, a livello di pensiero, in questa espansione dinamica SG è incluso in SS.
Per un elaboratore ciò non ha senso: gli insiemi sono finiti e addirittura i quadrati di interi troppo “grossi” non sono neppure rappresentabili (overflow), l’espansione dinamica che ha luogo nel pensiero del matematico non è possibile e la corrispondenza di Galileo è falsa.