Come studiare bene e velocemente? Domanda decisamente interessante. Come premessa, l’articolo prende in esame un generico “studente”, spesso un adulto autodidatta. Più avanti vedremo l’applicazione dei concetti generali allo studente classico (scuola media superiore o università). Per studiare con profitto occorrono una serie di armi che sono presenti contemporaneamente solo in un piccolo insieme della popolazione. Sostanzialmente, per studiare in maniera efficiente è necessario trattare al meglio questi punti: fine, propensione, tempo, fonti, metodo. Nei prossimi paragrafi impareremo a gestirli per evitare i possibili classici errori dello studente:
- mancata definizione dell’obbiettivo
- propensione insufficiente a centrare l’obbiettivo
- mancata stima del tempo necessario
- fonti non affidabili
- livello della fonte non correlato all’obbiettivo
- fonte superiore al livello culturale dello studente
- obbiettivo irrealizzabile per carenze culturali
- fonte troppo complessa
- metodo non orientato alla comprensione e alla memorizzazione a lungo termine.
Il fine dello studio
Purtroppo pochi prestano attenzione al fine del loro studio, un errore che costa moltissimo tempo o che può far perdere diverse opportunità. La domanda fondamentale è:
qual è il fine del mio studio?
Diventare un esperto? Conoscere le basi della materia? Approfondirla come propedeutica a un’altra?
Ovviamente il fine del ricercatore è diverso da quello del semplice appassionato della materia, per cui studieranno con un diverso grado di approfondimento. Entrambi devono però capire quando lo studio deve essere arrestato e ciò dipende dal fine.
Uno studente di medicina va a lezione di dermatologia e segue un’interessante lezione sulle dermatiti. Poi gli tocca una notte di guardia al pronto soccorso. Arriva un’ambulanza che trasporta un uomo che ha avuto un gravissimo incidente, è in fin di vita e rischia di morire se non si interviene prontamente. Lo studente nota che ha una dermatite su un braccio e va a cercare l’apposita pomata per curarla. L’uomo muore dissanguato.
Che voglio dire? Che lo studente non ha capito che il suo fine (come quello di ogni medico) era quello di salvare prima la vita della persona e poi di pensare alla qualità della sua vita.
Chi si vuole occupare di alimentazione e studiare la materia perché lo fa? Per la sua salute? Per iniziare un’attività professionale? Per capire come l’alimentazione sia importante nello sport? Ci sono decine di posizioni, ma dobbiamo avere ben presente quella che ci interessa.
Potrebbe sembrare tutto logico, ma vi assicuro che la maggioranza delle persone non pensa al fine del proprio studio. Come esempio cito gli scacchisti. La stragrande maggioranza di essi non diventerà mai Grande Maestro, né sarà mai professionista; per salire ai vertici occorrono molto studio ed esperienza e la maggior parte degli scacchisti non ha tutta la giornata da dedicare agli scacchi. Nonostante questo sia ovvio a tutti gli addetti ai lavori, molti scacchisti di categorie nazionali studiano aspetti degli scacchi ostici persino ai Grandi Maestri, buttando molto tempo e senza alcun miglioramento. L’atteggiamento corretto sarebbe quello di fissare un livello obbiettivo e di scegliere il percorso che porti a esso senza deviazioni.
Come studiare bene: la propensione
Abbiamo definito il fine? Ecco la seconda domanda:
sono in grado di raggiungerlo?
A essa rispondono alcuni fattori, il primo dei quali è la propensione. Si parla di propensione anziché di predisposizione perché, stranamente, nella popolazione si osserva che la priorità dello studio muta nel corso della vita di un soggetto. Esistono personalità critiche che in partenza hanno una bassa propensione allo studio; per loro l’ovvio consiglio è di rimuovere la personalità critica!
Si potrebbe pensare che nella personalità dello svogliato manchi la forza di volontà necessaria per applicarsi in modo continuo e corretto. Lo svogliato può però essere dotato di una buona forza di volontà nevrotica, cioè finalizzata a uno scopo, e quindi risultare particolarmente efficiente nello studio di una materia, ma un completo disastro nello studio di una materia che gli interessa poco o che non vede utile.
Nella personalità che il Personalismo definisce statica si ha addirittura un brusco passaggio da una condizione di notevole importanza a un’altra in cui lo studio viene praticamente ignorato: il soggetto si laurea, si specializza, ma poi, a un certo punto della sua vita, tira i remi in barca e diventa, a poco a poco, obsoleto e superato.
Analogamente, nella personalità del vecchio c’è un blocco dovuto semplicemente all’età psicologica del soggetto che ha abbandonato non solo lo studio, ma anche altri comportamenti giovanili.
Infine, nel contemplativo esiste una spiccata attitudine allo studio, ma sovente tale predisposizione è particolare, dedicata ad alcune materie con il disinteresse totale per altre, magari più pratiche e utili per farsi un’esperienza di vita. Viceversa, è possibile trovare molti soggetti di cultura medio-bassa che, capita l’importanza dello studio o per un semplice e innato senso di curiosità, decidono di studiare questo o quello.
Possiamo definire
propensione -> la volontà di dedicare le massime risorse alla comprensione della materia.
Poiché la propensione allo studio è una scelta di vita, occorre coltivarla e farla crescere. Se una persona vuole studiare veramente bene una lingua come l’inglese è abbastanza inutile che ci provi da sé, saltuariamente e distrattamente; dovrebbe aver coscienza che sei mesi passati in Gran Bretagna valgono quanto anni di tentativi fra le pareti della propria casa.
La definizione ci dice che è necessario avere presente sin da subito quante risorse (tempo, denaro, contatti per lezioni ecc.) saranno necessarie per ottenere lo scopo voluto. In questa prima fase si può fare da sé o farsi consigliare da un esperto, ma occorre stabilire se l’obbiettivo è alla nostra portata.
Come esempio, il mio caso personale: diventare esperto di alimentazione.
- Prima strada; laurea in scienza dell’alimentazione. Tre anni di elapsed, costi, perdite di tempo nel seguire corsi in cui la frequenza era obbligatoria, spostamento di sede per lezioni ed esami ecc.
- Seconda strada: selezione delle fonti (vedasi oltre) e studio da autodidatta a livello universitario. Sei mesi.
Ovviamente ho scelto la seconda strada. Non sempre questa strada è percorribile (vedasi esempio delle lingue) e in alcuni casi si possono ipotizzare scenari più complessi.
Come studiare bene: le fonti
Quanto detto circa il fine, dovrebbe facilitare moltissimo nel terzo passo. Come scegliere le fonti (i “libri”) su cui studiare? L’errore comune è di valutare solo l’affidabilità della fonte, senza legarla al fine: la frase “è un buon testo” detta da un premio Nobel può indirizzarci verso una fonte che ci trascende e che per noi non è adatta.
L’affidabilità della fonte (affidabilità = informazioni corrette, chiare e coerenti con un certo livello di difficoltà) è quindi condizione necessaria, ma non sufficiente.
Supponiamo di avere più fonti affidabili; quale scegliere? Di solito è qui che casca l’asino perché la scelta della fonte è spesso scollegata dall’obbiettivo. Innanzitutto
la fonte dovrebbe essere scelta in base al livello di profondità desiderato.
Inutile scegliere una fonte estesa (per esempio un testo universitario) se si desidera solo una trattazione divulgativa. Fin qui ci dovrebbero arrivare tutti.
Il problema nasce però dal fatto che potremmo non avere i requisiti propedeutici per gestire il livello desiderato. Per capirci, se voglio diventare esperto di economia devo possedere certe basi di matematica, altrimenti non sarò in grado di capire molti punti fondamentali. L’esempio classico è chi legge tanti articoli in Rete, capendo solo una parte di ciò che ha letto o addirittura fraintendendolo perché non possiede la cultura propedeutica alla comprensione. Non si può per esempio capire come funziona in dettaglio il motore di un atleta senza avere basi di biochimica.
La fonte deve essere in linea con le nostre basi culturali.
Per capire i nostri limiti culturali si può procedere top-down. Si scelgono prima fonti che danno una visione molto generale del problema e si può scendere nel dettaglio solo quando si hanno le basi per farlo. Supponiamo che uno sportivo sia molto interessato al problema delle fibre muscolari. Sarebbe un grave errore scegliere un testo tecnico: non avendo nozioni di biochimica, di fisiologia ecc. probabilmente non capirebbe granché; se volesse diventare un esperto del problema dovrebbe per forza studiare le basi delle materie coinvolte nello scenario, altrimenti non si farebbe che una falsa cultura.
La forza è niente senza il controllo! Una materia si studia dalle fondamenta e non dal tetto, proprio come si costruisce una casa. Tentare di leggere articoli evoluti senza avere le basi ingenera automaticamente una grande confusione. Le basi sono nozioni che in genere si apprendono alle scuole medie (inferiori e/o superiori); da ragazzi si snobbano, salvo poi ritrovarsi confusi da grandi quando servirebbero per capire ciò che si ama. Se non le avete, fatevele, prima di scendere nei dettagli e finire in una palude di incomprensioni.
In alcuni casi si potrebbe scoprire che
l’obiettivo è irrealizzabile per carenze culturali di base.
Se voglio diventare un buon personal trainer, non posso prescindere dallo studio (da autodidatta o tramite un corso di laurea in scienze motorie) di una serie di materie propedeutiche alla comprensione. Se parlando con un ragazzo che lancia il peso, voglio fargli capire che la velocità di esecuzione è importante, non posso che rifarmi al fatto che più sono veloce e maggiore è la quantità di moto che trasferirò al peso quando lo lascerò; ma per far questo devo sapere cos’è la quantità di moto e in che modo è legata alla velocità. Ecco che la fisica diventa propedeutica alla mia figura di esperto. Certo, posso limitarmi alla constatazione pratica che, a parità di forza, più si è veloci e più si lancia lontano, ma in realtà non avrò “capito” il perché e “non capire” predispone spesso a dire tanti strafalcioni.
Nel caso si scoprisse che il raggiungimento dell’obiettivo richiede troppe risorse per colmare lacune di base in altre materie, posso ridefinirlo e accontentarmi di una visione più divulgativa della materia di partenza. In questo caso sceglierò fonti divulgative piuttosto che professionali.
Da ultimo, si deve trattare della complessità della fonte. Non si deve confondere la “difficoltà” di una fonte con il suo valore assoluto. Anzi, di solito una fonte troppo complessa è decisamente poco valida, pur se rigorosamente corretta.
Molti insegnanti di matematica alle superiori probabilmente verrebbero bocciati all’esame di Analisi II semplicemente perché non si ricordano più le tante dimostrazioni che servono per la preparazione dell’esame. Ma non si può certo dire che non siano esperti della loro materia!
Da questo semplice esempio si comprende come, se si vuole diventare esperti di una materia, sia più logico partire da testi anche molto approfonditi, ma che puntino di più sui concetti che sulle nozioni. All’esame di Fisica II presi 24 e rifiutai il voto. Molto gentilmente il professore mi spiegò che era inutile studiare “a memoria” il libro, sapere tutte le dimostrazioni ecc., se poi in realtà non avevo capito i concetti fondamentali (e in effetti molti mi sfuggivano perché non riuscivo a trovare nella vita quotidiana esempi che li illustrassero, mentre lui era bravissimo a spiegare le lezioni quasi senza usare formule terrificanti). Qualche mese dopo presi la lode, accorgendomi che nella mezz’ora circa d’esame non avevo scritto nulla sulla lavagna, avevo solo conversato con il professore.
Quindi:
la complessità della fonte deve essere ridotta al minimo (coerentemente con l’obiettivo).
Come studiare bene: il tempo
La risorsa sulla quale spesso si mostrano i propri limiti è il tempo. Un errore classico è definire il tempo da dedicare allo studio ancora prima di aver capito il peso che lo studio necessita, senza nessuna stima concreta. In genere il tempo viene sottostimato, spinti più dalla voglia di riuscire nell’impresa (magari con il minimo sforzo) che da una reale propensione allo studio (dedicare tutto il tempo necessario).
Studiare una materia un’ora al giorno può essere sufficiente, ma lo è solo se ci vuole poco tempo a studiarla tutta. Supponiamo che uno studente in medicina dedichi allo studio un’ora al giorno; tutti capiscono che “non basta” e che i risultati saranno deludenti. Se invece devo limitarmi a studiare un libretto di 50 pagine, un’ora al giorno può essere una scelta azzeccata perché mi consente di avere la massima concentrazione.
Prima di procedere, una volta scelte le fonti, è necessario fare una stima del tempo necessario che non può quindi essere fatta prima di aver avuta la piena percezione di quello che ci attende. Un esempio personale. L’esame più duro di ingegneria per me è stato Metodi matematici per l’ingegneria, il professore era preparatissimo e ciò mi “costrinse” a seguire il corso (uno dei pochi!) e a studiare molto bene le voluminose dispense. Per altri esami, capivo benissimo che i vari professori, impegnati in un’attività professionale esterna o in ricerche molto mirate, non erano certo preparatissimi a 360 gradi su tutto il programma: bastava farsi dare il quaderno degli appunti da qualcuno che diligentemente aveva perso ore e ore nel seguire le lezioni e ci si accorgeva che l’approccio alla materia era “divulgativo”, mirato solo a dare le basi del corso; altre volte, osservando gli esami, si notava che le domande erano sempre le stesse. Morale: il tempo di studio per prendere la lode nell’esame si riduceva a circa un decimo.
Ho notato che molte persone si chiedono quanto tempo ci voglia per studiare una materia senza nessun tentativo di stima. Spesso sono spaventate dal fatto che ci vuole troppo tempo, ma questa paura indica semplicemente che non hanno presenti le risorse necessarie per centrare l’obbiettivo. In realtà, scelta la fonte giusta, è banale fare una prova con un capitolo della stessa e capire se ci vorranno anni oppure qualche settimana!
Anche l’approccio “voglio studiare questa materia in un mese” non è corretto perché dà già per scontato che la cosa sia possibile.
Come studiare bene: il metodo
Esistono molti metodi di studio; per esempio, un metodo sicuramente disastroso è quello del semplicistico che si limita a chiedere quello che non sa. Il metodo può essere personale, ma spesso quanto più è complesso, tanto più è sbagliato.
Di seguito daremo alcuni consigli che possono aiutare nella scelta del metodo migliore (che non è lo stesso per tutti e per ogni materia!).
Come punto di partenza, si considerino i recenti sviluppi nello studio della memoria che possono essere riassunti nella generica frase “per ricordare occorre provare un’emozione”. Il termine emozione è qui usato nel suo senso più vago, ma fa capire che studiare a memoria disinteressatamente e distaccatamente una poesia è il miglior modo di dimenticarla. Si può dire che ogni metodo di studio valido rispetta questa regola:
se leggi (ascolti) dimentichi, se vedi ricordi, se fai capisci.
Ogni metodo deve soddisfare questa regola. Per esempio, la mia propensione a scrivere libri nasce proprio dal fatto che mi ero reso conto che avevo veramente capito solo le cose che riuscivo a mettere per iscritto in un testo (articolo) comprensibile ad altri.
- Il primo punto (lettura) è legato alla memoria a breve e si avvale soprattutto della concentrazione. Ovviamente il primo punto è propedeutico al secondo.
- Il secondo punto si avvale di strumenti vari, dove la grafica e/o l’esperienza hanno un ruolo determinante nel coinvolgere più emotivamente lo studente.
- Il terzo punto è quello più importante perché assicura una memorizzazione e una comprensione a lungo periodo.
La lettura – Come regola generale si può dire che
l’efficienza della lettura dipende dalla concentrazione.
La concentrazione è la forma più generale di emozione (ma anche quella più generica). Se sono concentrato su qualcosa, sono (momentaneamente) emotivamente connesso con essa. La concentrazione ci permette di solito una memorizzazione a breve termine molto efficace. Può essere l’arma vincente quando dobbiamo ricordare qualcosa a breve (per esempio per un’interrogazione il giorno seguente), ma serve a poco se si desidera studiare a lungo termine. Per esempio, se la preparazione di un esame dura 30 giorni, ciò che ricorderò (perché concentrato) il giorno 1, lo avrò dimenticato il giorno 30, quello dell’esame!
La concentrazione è sicuramente una delle armi più difficili da acquisire. In molti è variabile, a seconda della materia studiata; in chi possiede una forte forza di volontà anevrotica è sicuramente più stabile perché si è in grado di attivarla anche se la “materia non piace”, tanto che nella personalità svogliata la mancanza di concentrazione diventa un grave handicap nel percorso scolastico. Poiché fin da ragazzo ero interessato alla qualità della mia vita, solevo mettere in ogni materia la più alta concentrazione, gli occhi bucavano il foglio, tanto che a volte mi bastava una lettura per preparare la lezione, in modo da avere più tempo per divertirmi.
In età adulta, chi tende a leggere di tutto ha spesso una concentrazione molto bassa e gli resta veramente poco. Nel mio caso personale mi occupo di tante cose e posso dire di essere esperto in molti campi, ma le cose che non mi interessano (e ovviamente sono la maggior parte) le trascuro (per questo, per esempio, non sono molto attento a programmi come Quark che sono a 360 gradi).
Alcuni cercano di sopperire al decadimento della memorizzazione delle informazioni con la ripetizione periodica. Tutti conoscono i primi versi della Divina commedia (che abbiamo recitato/sentito e continuiamo a recitare/sentire da altri), ma pochissimi sanno andare oltre i dieci versi.
La ripetizione periodica è un metodo per rinfrescare la memoria a breve, ma è praticamente un metodo improponibile se la materia oggetto di studio è troppo vasta. In campo professionale la ripetizione periodica si attua con quella che viene definita routine: un medico, per esempio, conosce benissimo una serie di farmaci perché li prescrive spesso, ma poi può cadere dalle nuvole su altri concetti di medicina che non gestisce da anni.
La visione – L’esempio della Divina Commedia spiega come i primi due punti diano al più una conoscenza a medio periodo (diciamo di qualche mese), ma non sono in grado di assicurare una memorizzazione sul lungo periodo. Perché ciò sia possibile è necessario che l’emozione sia più forte: per esempio, anche dopo anni un giocatore di scacchi ricorda una lunga variante di apertura, se questa è associata a una bella vittoria o a una cocente sconfitta; uno studente ricorda la risposta a una domanda che l’aveva messo in difficoltà all’esame di maturità ecc.
Per questo motivo, ciò che gestiamo professionalmente tendiamo a ricordarlo per anni perché torna periodicamente legato a esperienze della nostra vita. Delusi restano pertanto coloro che pensano di farsi una cultura senza legarla poi a emozioni di vita: periodicamente dimenticano ciò che hanno studiato.
Cosa si intende per “vedere” un concetto? Ci sono vari esempi di visione, per esempio:
- un’immagine o un filmato
- un’espressione grafica della scrittura del concetto stesso
- un esperimento che lo realizza praticamente
- un esempio che si stampa nella nostra mente come uno scenario reale ecc.
Vedere un concetto è una forma più stabile di emozione: ricordo più facilmente a lungo il processo legato al concetto e quindi ricordo il concetto stesso. Quanto più coinvolgente è la visione, tanto più stabile è la memorizzazione.
Il più delle volte sono da preferirsi tecniche di coinvolgimento dei sensi. Lasciando perdere mappe concettuali o mentali, il vecchio metodo della sottolineatura a più colori è il modo più diretto di aggiungere un’emozione visiva alla comprensione, un modo di dare importanza a determinati concetti rispetto ad altri; ovviamente nell’usarlo si dovrebbe impiegare una coerenza editoriale che faciliti l’associazione fra visione e comprensione. Un metodo interessante è la grafica a posteriori, cioè l’uso di tecniche visive su concetti che in una prima passata non si erano compresi e/o ricordati.
Ricondurre un concetto letto a un esempio di vita vissuta (esempio fornito dall’autore o creato ad hoc dallo studente) permette di vedere meglio il concetto stesso. Analogamente un libro illustrato (quando è possibile illustrare la materia) è migliore di un libro senza grafica (si pensi a quanto sia importante la grafica in un testo per bambini).
Gli esperimenti condotti nelle “esercitazioni pratiche” sono poi utilissimi per “vedere” un concetto.
L’azione – Come si può mettere in pratica, “fare”, quello che si è appreso? In campo professionale è la professione stessa che ci mette alla prova, tanto che stage, internati ecc. sono mezzi comuni per “applicare” quello che si è studiato.
In campo non professionale (dallo studente che deve preparare un esame, all’autodidatta che studia per sé) come si può rendere “attivo” un concetto? Certo si può fare come il sottoscritto e scrivere un libro sulla materia che si è appena studiato; un caso analogo è quello di chi produce dispense per altri, tiene magari un breve corso in un circolo di amici o quello di chi scrive un articolo sul suo blog o sulla pagina Facebook. Queste tecniche sono sicuramente esempi di comprensione della materia, ma non è necessario arrivare a tanto.
La differenza fra capire e conoscere è proprio che nel primo caso si è in grado di applicare i concetti appresi. Per esempio, uno studente di fisica può comprendere cosa significa equilibrio instabile, ma la sua comprensione diventa alta quando sa fare esempi diversi da quelli citati nel testo, diventa lui il professore che sta spiegando la lezione. Per questo motivo, uno dei metodi di apprendimento più usati è la ripetizione dei concetti, magari ad alta voce (meglio a un’altra persona, ma ciò non è necessario). Il metodo funziona quanto più noi sappiamo spaziare, sappiamo creare nuovi esempi, rispondere a domande ecc. Se ripetiamo come pappagalli la lezioncina non abbiamo capito granché! Analogamente, se incespichiamo o non sappiamo rispondere alle domande di chi ci ascolta, dobbiamo rivedere il nostro studio.
Un altro metodo molto usato è quello del riassunto. In genere, si riassumono le cose più importanti, quelle che dovranno restare. Uno studente di storia saprà parlarci della rivoluzione francese per almeno 5′ dopo che ha letto e studiato ieri la materia, ma dopo anni una persona di cultura ne parlerà al massimo per 30″, ma quei 30″ sono comunque indice di una buona cultura. Non ricordarsi invece che la rivoluzione è scoppiata nel 1789 (un dato fondamentale nel riassunto) evidenzia una memoria a lungo periodo scarsa.
Un ultimo metodo di azione è quello della definizione. Chi ha capito sa definire i concetti di cui parla. Mi capita spesso di parlare con visitatori del sito che non sanno definire cosa hanno studiato, parlano di carboidrati e non sanno cosa sono, parlano di correlazione e non sanno cos’è ecc. Non è importante che la definizione sia corretta al 100%, ma che renda l’idea della comprensione. Un matematico boccerebbe chi definisce il teorema di Pitagora come il fatto che il quadrato costruito sull’ipotenusa è “uguale” alla “somma dei quadrati” costruiti sui cateti, facendo notare che “uguale” andrebbe sostituito con “equivalente” e che “somma dei quadrati” con “unione dei quadrati”. Da un punto di vista pratico però la definizione evidenzia comunque una buona comprensione.
Per lo studente
Per lo studente di scuola media superiore o dell’università, alcuni ulteriori consigli, fermo restando che tutto ciò che abbiamo esposto deve essere stato metabolizzato.
L’obiettivo dello studente può essere la semplice sufficienza, il massimo dei voti ecc. Occorre che sia chiaro cosa vuole! Sicuramente per centrare l’obiettivo è possibile dedicare moltissimo tempo, spendere soldi in lezioni private ecc. Per uno studente classicamente definito questa strada è però non ottimizzata e la propensione indica la scelta intelligente delle risorse che si impiegano, intelligenti nel senso che sono le più efficienti, visto che probabilmente il tempo a disposizione è limitato (domani mi interrogano, fra 15 gg. ho l’esame ecc.). La propensione viene a coincidere con la concentrazione con cui si gestiscono le risorse che la scuola mette a disposizione (libri, appunti, lezioni dell’insegnante, esami della precedente sessione ecc.). La concentrazione ha il fine di:
- ridurre i tempi di studio
- rendere consapevoli di aver capito la materia
- capire cosa l’insegnante vuole da noi all’esame
- scegliere correttamente le fonti
Il primo punto deve essere chiaro: non è possibile studiare bene se la nostra concentrazione non buca la pagina che abbiamo davanti. Inutile leggere la pagina un numero esagerato di volte se lo abbiamo fatto sempre distrattamente.
Il secondo punto è fondamentale: se la materia ci appare troppo difficile, prima di procedere, è il caso di chiedersi il perché:
- abbiamo carenze culturali di base? In questo caso è ovvio che vadano colmate!
- la materia non mi piace e una certa idiosincrasia non mi permette di concentrarmi a sufficienza? Conviene convincersi che ogni materia ci fa migliorare nella vita; ce ne possono essere di migliori, ma se sto studiando quella, devo “entrare in sintonia con essa”.
Alla fine, devo essere in grado di ripetere la materia come se fossi io l’insegnante, non a memoria, ma in modo originale; devo “possedere” la materia che sto illustrando. Ovvio che, a seconda del voto a cui punto, il livello di approfondimento sarà diverso.
Capire le esigenze dell’insegnante: spesso ciò dipende dal suo grado di preparazione, dalle sue preferenze ecc. Molto utile studiare come interroga, le domande che fa agli esami: questo permette di ottimizzare il tempo e gestire correttamente il punto successivo. Per esempio, un insegnante può preferire i concetti alle lunghe dimostrazioni, può utilizzare sempre lo stesso schema di esempi, può avere autori o pezzi preferiti ecc.
Capito l’insegnante, è anche facile scegliere le fonti. Potranno essere appunti delle lezioni (che in genere sono molto più stringati del testo originale) oppure capitoli particolari del libro di testo o testi alternativi.