Il bias cognitivo (distorsione cognitiva) è un modello sistematico di deviazione dalla razionalità nel giudizio. Nella definizione è importante l’aggettivo sistematico. La locuzione bias cognitivo fu introdotta a partire dagli anni ’70 del secolo scorso per merito degli psicologi israeliani Kahneman e Tversky nell’ambito di un loro programma di ricerca che mirava a comprendere le modalità con cui gli esseri umani maturano le decisioni, specialmente in ambiti caratterizzati da ambiguità, incertezza e/o scarsezza di risorse disponibili. I risultati sul campo consentirono loro di mettere in discussione le teorie secondo le quali la razionalità è sempre alla base delle decisioni e dei comportamenti delle persone. Il termine bias è di origine inglese (attraverso il francese e prima ancora il latino e il greco) e ha il significato di obliquo. Si ritiene che fosse utilizzato inizialmente nel gioco delle bocce per indicare un tiro storto, obliquo, sbagliato che aveva conseguenze negative. A partire dal XVI sec. il termine cominciò ad assumere un significato anche figurato per definire un’inclinazione, una predisposizione, un pregiudizio. Alcuni equiparano i bias cognitivi a errori di giudizio, ma correttamente Gigerenzer ha criticato il loro inquadramento come errori di giudizio e preferisce interpretarli come derivanti da deviazioni razionali dal pensiero logico.
Bias cognitivo – Il significato
Nella realtà, sempre più si è chiamati quotidianamente a gestire migliaia di informazioni e ad assumere decisioni: è una quantità di tale rilevanza che rende quasi impossibile processare proprio tutto in modo corretto. La mente adotta allora delle strategie cognitive per essere più veloce e impiegare meno risorse: per realizzare questo obiettivo utilizza delle vere e proprie scorciatoie (euristiche). Se queste scorciatoie sono costrutti fondati su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie, al di fuori del giudizio critico, indirizzano molte volte fuori strada e inducono a commettere errori di ragionamento e valutazioni sbagliate. Queste storture sono i bias cognitivi.
Il bias cognitivo è pertanto una limitazione nel pensiero oggettivo derivante dalla tendenza della mente a elaborare informazioni preferibilmente attraverso la lente dell’esperienza e delle preferenze e/o dei pregiudizi personali. In sostanza, si tratta di parziali distorsioni della realtà che indirizzano verso percorsi errati.

L’effetto cornice è un esempio di “bias”, termine che in psicologia indica una distorsione del pensiero a causa di uno o più elementi che influenzano la prospettiva
Bias cognitivo – Esempi
Di bias cognitivi ne sono stati individuati moltissimi. Alcuni sono stati raggruppati, per esempio il bias egocentrico raggruppa tutti quei bias che ingigantiscono il proprio “peso” nella valutazione della realtà; può comprendere l’eccesso di fiducia (ottimismo), l’illusione del controllo (la tendenza a sopravvalutare il proprio grado di influenza su eventi esterni), l’errore di pianificazione (la tendenza delle persone a sottovalutare il tempo necessario per completare un determinato compito). Altri sono talmente evidenti da essere facilmente rigettati, per esempio il bias di genere (associare senza riscontri reali a uomini – o a donne – attributi più positivi rispetto all’altro genere). Altri sono così noti e importanti da meritare un articolo a sé (ved. Intelligenza, sezione Bias cognitivi). Di seguito, un ulteriore elenco di interessanti distorsioni cognitive.
Bias di conferma: a ciascuno piace essere d’accordo con le persone che la pensano nello stesso modo e si tende preferibilmente a evitare individui o gruppi che fanno sentire a disagio. Si tratta di una modalità di comportamento che porta al bias cognitivo di conferma, cioè al riferirsi preferibilmente o esclusivamente alle sole prospettive che alimentano i nostri punti di vista preesistenti (in pratica, si preferisce sentirsi dire le cose in cui già si crede, delle quali si è già convinti, consapevolmente o no): è strettamente legato alla dissonanza cognitiva. I soggetti che ne sono immuni sono dotati di apertura mentale.
Bias di gruppo: induce a sopravvalutare le capacità e il valore del nostro gruppo considerandone i successi come il risultato esclusivo delle qualità dello stesso e ad attribuire invece i successi di un altro gruppo a fattori esterni e non ottenuti invece grazie alle qualità delle persone che lo compongono (la squadra del cuore ha vinto lo scudetto meritatamente, gli altri lo vincono per fortuna, favori arbitrali, imbrogli…).
Bias di ancoraggio: nell’assumere una decisione si tende a confrontare solo un insieme limitato di elementi: l’errore è quello di ancorarsi su un valore (ancora) che viene poi usato arbitrariamente. L’errore di ancoraggio è stato descritto da Tversky e Kahneman (1974). I due ricercatori che scoprirono l’effetto notarono che le risposte date alle domande della ruota della fortuna americana erano influenzate dal numero casuale che aveva selezionato la domanda: se usciva il 47 e la domanda chiedeva il numero delle nazioni europee, la media delle risposte inspiegabilmente era più alta che se era uscito il 21, a riprova del fatto che il numero uscito diventava un punto di riferimento per la risposta. In altri termini, quando non sappiamo come stanno le cose abbiamo bisogno di un’ancora che ci dia sicurezza e siamo pronti ad afferrare qualunque cosa.
Bias del carro della banda musicale: bandwagon in inglese indica il carro su cui viaggia la banda musicale durante le parate o altre manifestazioni pubbliche e indica la tendenza a sviluppare una convinzione, non tanto sulla base della sua effettiva veridicità, quanto piuttosto in relazione al numero di altre persone che condividono quella stessa convinzione. In sintesi, un comportamento da “pecoroni”. Si tratta della fallacia ad numerum.
Fallacia di Gabler: la tendenza a dare molta rilevanza a ciò che è accaduto in passato, in modo che i giudizi attuali ne sono totalmente influenzati. In forza di questo bias, se in passato è stato dato un giudizio positivo su una persona, si tenderà a continuare a darle un giudizio positivo anche nel presente, magari a dispetto delle recenti prestazioni che potrebbero essere in netto calo rispetto a quelle passate o addirittura negative. È come dire che la prima impressione è quella che conta!
Bias della disponibilità: la tendenza ad assegnare maggiori probabilità ad eventi molto improbabili, ma che richiamano maggiormente la nostra attenzione: se per esempio riusciamo a immaginarci bene l’evento, spesso lo sovrastimiamo. Per esempio, tutti conoscono le scene di giubilo che si hanno quando in una ricevitoria si festeggia la vittoria di un fortunato cliente al Superenalotto; tale conoscenza porta moltissime persone a giocare, anche se la loro vincita è altamente improbabile. Per lo stesso motivo, quanto più uno scenario è dettagliato, incredibilmente riteniamo che sia più probabile, contrariamente al calcolo delle probabilità che ritiene meno probabile il verificarsi di un evento quanti più dettagli aggiungiamo.
Bias di somiglianza: consiste nell’apprezzare in altre persone aspetti simili a quelli che si riconoscono in sé stessi. Nell’errore per contrasto, invece, si apprezzano i tratti di personalità diametralmente opposti ai propri: il risultato può portare a sovrastimare negli altri quei tratti che si riconoscono opposti ai propri: se si è timidi o introversi si sarà indotti da questo bias a giudicare gli altri più sicuri ed estroversi di quanto siano in realtà.
Bias della negatività: comporta un’eccessiva attenzione rivolta a elementi negativi, che vengono considerati come i più importanti. A causa di questa distorsione cognitiva, si tende a dare maggior peso agli errori, sottovalutando i successi e le competenze acquisite, attribuendo così una valutazione negativa alla prestazione complessiva. Appare evidente una certa interazione tra questo atteggiamento e una visione generalmente pessimistica della realtà.
Bias dello status quo: è una distorsione valutativa dovuta alla resistenza al cambiamento; il cambiamento spaventa e si tenta di mantenere le cose così come stanno. La parte più dannosa di questo pregiudizio è l’ingiustificata supposizione che una scelta diversa potrà far peggiorare le cose.
Bias del pavone: si è indotti a condividere maggiormente i nostri successi rispetto ai fallimenti. L’uso che gran parte delle persone fa dei social è una fotografia esaustiva di questo tipo di bias cognitivo: sui social infatti le persone tendono a mostrare per lo più un’immagine positiva di sé, tanto da far sembrare la propria quotidianità totalmente ideale.
Illusione della frequenza: il cervello tende a selezionare informazioni che ci riguardano, per esempio farci notare maggiormente uomini in doppiopetto se ci siamo vestiti così o auto rosse se ne abbiamo acquistata una. L’errore di valutazione è quello di credere che ci sia realmente un incremento nella frequenza di uomini vestiti in quel modo o di auto rosse; si tende cioè a sovrastimare la frequenza di informazioni/eventi che sono simili al proprio vissuto.
Bias del presente: in questo caso, le decisioni sono prese per ottenere una gratificazione immediata, ignorando le possibilità di guadagno o di maggiori soddisfazioni differite nel tempo. Questo atteggiamento può influenzare pesantemente i nostri comportamenti in tre importanti aree della nostra vita: l’alimentazione, la vita professionale e i risparmi. In un apposito studio del 1998 è emerso che il 74% dei partecipanti sceglieva la frutta quando doveva decidere cosa mangiare la settimana successiva, ma dovendo decidere cosa mangiare subito il 70% sceglieva il cioccolato! Stesso meccanismo per il denaro: molto ben disposti ad approfittare di sconti nel momento presente e invece a rimandare al futuro la preoccupazione per spese più impegnative. Nella consapevolezza di ciò, molti operatori del marketing creano proposte ad hoc che inducono ad accettare di comprare un prodotto grazie a uno sconto o a un regalo immediato anche se questo vantaggio viene abbondantemente perso nel medio/lungo periodo.
Bias dell’ottimismo: neuroscienze e scienze sociali concordano nel ritenere l’essere umano più ottimista che realista, nonostante gli piaccia pensare di essere una creatura razionale capace di fare giuste previsioni sulla base di valutazioni obiettive. Diversi studi hanno infatti dimostrato che le persone sottostimano, per esempio, la possibilità di divorziare, di perdere il lavoro o di ammalarsi di cancro mentre sovrastimano la propria aspettativa di vita. Si tratta di una overconfidence, cioè di un eccesso di fiducia che in alcuni campi può essere devastante (come nella finanza, dove l’investitore può arrivare al disastro, o nel tempo libero, dove soggetti che si dedicano a sport pericolosi sottovalutano i pericoli). Può essere collegato alla sicumera.
Bias d’azione: le persone tendono ad agire anche quando l’azione è meno vantaggiosa dell’omissione. In un apposito studio è emerso che nel caso di una diagnosi di cancro, i pazienti preferivano sottoporsi a trattamenti (azione) piuttosto che a semplici controlli (inazione) anche se i trattamenti risultavano più dannosi o meno efficaci dell’inazione. Questo tipo di bias è anche facilmente osservabile nei portieri di calcio durante i calci di rigore: pur sapendo che la strategia ideale sarebbe quella di rimanere al centro della porta (inazione), molto spesso il portiere si tuffa in una delle due direzioni laterali (azione).
Bias dello scommettitore: il soggetto ritiene che il futuro verificarsi di un evento casuale sia influenzato dal passato verificarsi di un altro evento, altrettanto casuale; “se nel lancio di una moneta dopo tre lanci è uscita testa, l’uscita croce è più probabile al quarto lancio”. Si basa su una scarsa intelligenza statistica.
Bias cognitivi nella finanza
ANCORAGGIO
Nella finanza comportamentale un esempio comunissimo di ancoraggio è il prezzo di listino. Se un venditore ci offre la merce dopo averci illustrato tutto il listino dei prodotti che ci possono interessare, se non siamo molto esperti, saremo ancorati ai prezzi ricevuti; al che il venditore ci offre il prodotto Z scontato del 10% e, incredibilmente, ciò ci sembrerà un affarone.
Dal punto di vista finanziario
il rischio maggiore è quello di usare come punto di riferimento lo 0 anziché il livello del tasso di inflazione.
Per fare un esempio, una polizza assicurativa che garantisce la restituzione del capitale dopo 5 anni, in realtà garantisce molto meno di quel che promette: il potere d’acquisto – vero valore da salvaguardare – del capitale restituito tra 5 anni dipenderà dall’inflazione accumulata nel periodo.
Come investitori bisogna imparare a ragionare in termini di rendimenti reali, ovvero al netto dell’inflazione, e a valutare le proposte di investimento in base alle alternative disponibili.

Già l’economista Adam Smith trattò i principi psicologici del comportamento individuale nella sua opera Teoria dei sentimenti morali
BIAS DELL’OTTIMISMO
La finanza comportamentale spiega perché uno dei principali ostacoli alla diversificazione finanziaria è l’eccesso di ottimismo, cioè la convinzione che un evento incerto avrà comunque un esito favorevole. L’ottimismo è un tratto psicologico positivo che ci sostiene nelle difficoltà e che ci consente di perseguire obiettivi di lungo periodo anche sopportando disagi immediati. Tuttavia racchiude un elemento di pericolo di cui è necessario essere consapevoli in quanto esso ci induce a sopravvalutare le probabilità di un evento favorevole (e quindi, implicitamente, a sottovalutare la probabilità che l’evento assuma un valore negativo).
Si deve evitare di confondere l’ottimismo con la speranza e con l’illusione: quando acquistiamo titoli denominati in valuta dobbiamo essere consapevoli che, anche in pochi mesi, esiste la possibilità di perdite rilevanti. Quali basi concrete abbiamo per essere ottimisti? C’è un contratto che ci garantisce? Ricordiamo che se qualcosa è successo in passato può succedere nel futuro e che chi oggi sembra sprovveduto è stato a sua volta ottimista (“che cosa vuoi che mi succeda se investo metà della liquidazione in titoli argentini?”).
BIAS DELLA DISPONIBILITÀ
In base al bias della disponibilità la finanza comportamentale spiega perché ogni promotore finanziario tende a riempirci di grafici e di carta che di fatto non fanno che aggiungere dettagli su previsioni future: anziché renderci conto che più si cerca di essere precisi, meno probabilità ci sono di azzeccarci, cadiamo nella trappola e aderiamo alla proposta “che non si poteva rifiutare”.
Come evitare i bias cognitivi
Dagli esempi riportati risulta evidente che nella gran parte dei casi le persone si danno autonomamente la zappa sui piedi (qualche volta si può infatti avere la sensazione di essere il proprio peggior nemico); nonostante ci si consideri persone mediamente intelligenti che sanno distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ci si ritrova spesso a prendere decisioni anche banalmente sbagliate.
Albanesi (2023) ha associato l’uso di bias cognitivi a personalità non equilibrate.
Ecco un breve elenco di associazioni fra personalità critiche e bias cognitivi.
- Lo svogliato tende a non elaborarli perché la ricerca e l’analisi delle informazioni è troppo faticosa e sembra “geniale” elaborare strategie più “immediate”, senza accorgersi che molte volte portano a strade errate.
- L’irrazionale non è abituato a usare lo spirito critico nel confrontarsi con le situazioni; per lui il bias diventa un surrogato della razionalità (per esempio, errore di coincidenza ed effetto tempo). Anche soggetti equilibrati possono sopire il loro spirito critico per supportare le loro tesi (bias di conferma).
- L’apparente usa i bias cognitivi (per esempio quello del pavone) per non riconoscere una realtà nella quale sarebbe ridimensionato.
- Il fobico forma bias cognitivi che “sostengono” le sue paure.
- Il dissoluto elabora bias cognitivi che sostengono le sue scelte (ragionamento del fumatore, bias dell’ottimismo).
- Il violento arriva a pregiudizi che giustificano le sue azioni (bias d’azione) o sovrastima il suo potere (illusione del controllo).
- Il vecchio o lo statico sono inclini a dare maggiore importanza al passato, ricavandone “leggi” per la gestione del presente (fallacia di Gabler).
- La personalità semplicistica è presente in molti bias (ancoraggio, illusione della frequenza).
- Il sopravvivente usa bias cognitivi per addolcire la realtà, rendendola a volte anche molto gradevole. Classico il ricorso all’effetto gregge (conformismo). Il bias di gruppo è per esempio tipico del tifoso; un altro esempio è il bias di somiglianza. Con il bias del presente il soggetto “si accontenta” di un risultato sufficiente.
- Il debole usa spesso servirsi del bias della banda musicale (fallacia ad numerum) o del timore reverenziale.
- Il mistico e il succube sono spesso vittimea del timore reverenziale, il primo verso le autorità religiose (“l’ha detto il papa) e il secondo verso i genitori (“l’ha detto mio padre”).
- L’insofferente è spesso vittima dell’errore di aspettativa.
- L’insoddisfatto è vittima del bias della negatività.
- L’indeciso usa il bias dello status quo per non decidere.
Si deve notare che
un bias non è collegato a una personalità, ma una personalità critica è una condizione facilitante perché il soggetto cada in quel bias cognitivo.
Anche una personalità equilibrata può essere vittima di bias cognitivi, ma il suo equilibrio fa da scudo alla loro presenza.
La personalità equilibrata non è per tutti una dotazione naturale e neppure acquisita nel tempo (vedasi il test di personalità di Albanesi) ma la buona notizia è che questo equilibrio può essere acquisito, in tutto o almeno in buona parte, intervenendo opportunamente sulle criticità della propria personalità che il test è in grado di evidenziare.