I millennial rappresentano la generazione dei nati fra gli anni ’80 e l’anno 2000. A volte vengono indicati come generazione Y (successiva alla precedente generazione X). Il termine, dalla società statunitense, si è trasferito poi nel resto del mondo occidentale.
Prima di entrare nello specifico dei problemi che hanno i giovani (fra i 20 e i 35 anni) di oggi, vediamo quali sono i tratti distintivi di questa generazione. L’analisi è molto difforme da quella dei sociologi che per primi la studiarono; il loro giudizio fu pesantemente influenzato dall’ottimismo che i giovani portavano con sé; per esempio, certe tendenze all’intraprendenza e alla competitività non si sono poi concretizzate, soprattutto uscendo dagli USA.
- Hanno maggiore propensione alla comunicazione, ai media e alla tecnologia. Purtroppo, questa propensione è spesso sprecata con una conoscenza molto verticale: si sa usare benissimo il cellulare, ma ci si trova in difficoltà nell’uso approfondito della Rete e dei computer; oppure si ha una grande diversificazione nell’approccio ai media, ma si seguono solo canali tematici (e, per esempio, non si seguono le news di attualità).
- Sono più tolleranti, ma anche meno propensi all’analisi critica delle situazioni; miscela psicologica che spesso porta da un lato all’utopia e dall’altro a promuovere e mantenere posizioni conservatrici e tradizioni.
- Hanno grandi difficoltà a passare all’età adulta, soprattutto chi ha un contatto ancora frequente con il mondo scolastico (insegnanti, intellettuali, ricercatori ecc.); per questo ho coniato la locuzione sindrome dello studente.
- Il punto precedente porta a una tendenza a vivere con i genitori per un periodo più lungo (nei casi peggiori il fenomeno viene identificato come sindrome del bamboccione).
- Sono più inclini a lavori creativi e mal sopportano lavori puramente manuali e ripetitivi.
Vorrei soffermarmi soprattutto sull’ultimo punto, partendo dall’analisi di Simon Sinek, sociologo molto attento alla questione. Sinek e altri hanno notato che la crisi del 2008 ha praticamente “abbattuto” la generazione. Negli USA con l’elezione di Obama si pensava che i millennial potessero “mantenere la loro concezione del diritto e del potere, questa potrebbe anche rivelarsi la prossima Greatest Generation”. In realtà la crisi del 2008 ha incominciato a trasformare la generazione in un fenomeno simile alla Lost Generation del ventesimo secolo. Cerchiamo di capire il perché.
Dall’iniziale voglia di competere e di primeggiare, dove nessuno poteva perdere, essendo sufficiente “una partecipazione impegnata” per ottenere quello che si voleva, si è passati, senza una piena comprensione della realtà, a una visione dove la società è comunque ostile alla realizzazione dei propri “sogni”. Il risultato è stato l’aumento spaventoso dei tassi di disoccupazione (questi alcuni dati ritrovati in Rete: 40% in Spagna, 37% in Italia, 35% nei Paesi baltici, 30% in Gran Bretagna e oltre il 20% in altri Paesi).
Secondo Sinek (e concordo) i millennial sono “difficili da gestire, pensano che sia loro tutto dovuto, sono narcisisti ed egoisti, dispersivi e pigri”. Molti di loro hanno grandi condizioni facilitanti, ma non riescono a sfruttarle a causa di:
- Una cattiva educazione. Sono stati cresciuti ipercoccolati dai genitori che spesso li hanno condizionati a “sentirsi speciali”, a “pensare di poter avere qualunque cosa dalla vita”; nelle situazioni migliori si insegnava loro che bastava studiare e impegnarsi (cose comunque non sufficienti per raggiungere certi traguardi), ma in quelle peggiori si supportavano in ogni scelta e in ogni difficoltà, evitando che diventassero autosufficienti e pronti per il mondo reale.
- Un cattivo utilizzo della tecnologia con la creazione di un mondo virtuale dove i giovani cercano rifugio, preferendo passare ore a scambiarsi sms al cellulare piuttosto che a vedersi di persona. Ciò alla lunga produce un’incapacità di relazioni soddisfacenti e non superficiali.
- L’incapacità di lottare per un obiettivo: vogliono tutto e subito. A differenza delle generazioni precedenti, non comprendono il concetto di “costruirsi un futuro”, ma “vogliono il futuro”. Il risultato è che in molti lavori (non solo in quelli manuali) vengono sopravanzati da giovani di altri Paesi, molto più concreti e per questo “vincenti”. Ciò provoca nei millennial un ulteriore senso di frustrazione.
- La presa di coscienza della loro condizione. Nei più maturi la presa di coscienza del loro “cattivo modo di crescere”, anziché provocare una reazione, porta alla depressione e all’infelicità.
Nel sito ho avuto a che fare con molti millennial e ho notato che la prima cosa che li attraeva era il mio percorso personale, di soggetto che da anni ha ottenuto ciò che vuole. Proseguendo nella conoscenza mi rendevo conto che a loro mancava un fondamentale anello del processo: la consapevolezza che il futuro non va preteso, ma conquistato. E spesso la conquista dura anni di impegno.