Un genitore dovrebbe insegnare al figlio a vivere. Missione difficile, tanto più difficile quanto più il genitore non ha autorevolezza. Autorevolezza non significa “autorità” (che spesso alla fine diventa controproducente), ma che il figlio riconosce nel genitore un punto fermo.
Come insegna la sociologia, ogni gruppo ha un riferimento e, se questo riferimento è debole, il gruppo è poco coeso. Nella famiglia i genitori dovrebbero essere i riferimenti per i loro figli.
Sono sicuro che la frase precedente è plausibile per quasi tutti i miei lettori. Peccato che poi, nella realtà, pochissimi siano veri riferimenti per i loro figli.
Essere un riferimento per i propri figli vuol dire apparire ai loro occhi come leader.
La scuola, gli amici, i media ecc. sono secondari alla figura del genitore che continua ad apparire più carismatico di loro.
Esempio – Alle elementari un genitore non credente vorrebbe non iscrivere la figlia all’ora di religione. Saputo che sarebbe la sola non iscritta, fa retromarcia (per non ghettizzarla, si veda l’articolo Il figlio che deve andare a messa) e l’iscrive, considerando anche il fatto che lei preferirebbe stare con le proprie amiche.
Due sono i punti critici di questo scenario.
Il primo è che il genitore lascia di fatto ad altri scelte riguardanti sua figlia, seguendo la logica del gregge. Evidentemente non se la sente di “scontrarsi” con altre posizioni e preferisce passare. Non si tratta di un’assenza psicologica perché probabilmente di queste cose ne parla con la figlia, ma alla fine lascia libertà di coscienza (a una bambina di sei anni?).
Il genitore che abdica non entra in conflitto con gli altri educatori dei figli: dai nonni alla tata, dalla scuola al gruppo di amici, dai media ai social network ecc. Di fatto evita una battaglia, ma alla fine perde la guerra.
Infatti, il secondo punto è che, già a sei anni, la bambina tende a seguire di più le amiche che il genitore! Se, diventata adolescente, informasse il genitore che andrà a una festa dove presumibilmente l’alcol scorrerà a fiumi e non mancheranno gli spinelli all’insegna di sesso, droga e rock and roll, il genitore potrà dire di no, ma, con una leadership ormai azzerata, non sarà ascoltato. Certo, potrà rinchiudere la ragazza nella sua camera, ma ciò non sarà che l’inizio di una ribellione “giustificata”.
Essere leader
Essere genitori leader non è facile. In primis occorre essere persone equilibrate; per esempio, un debole sarà difficilmente un leader, a meno che non utilizzi come figura carismatica qualcuno che ha gli attributi del leader; è il caso classico di tutti coloro che utilizzano un’ideologia, una religione ecc.: il genitore è una specie di “ministro” del leader. Visto che di persone equilibrate ce ne sono poche e considerato il fatto che nel mondo di oggi il giovane impara a vedere criticamente le crepe di ideologie e religioni, ecco perché la ribellione adolescenziale è così comune.
Poi occorre dialogare in modo corretto (vedasi Educazione dei figli) e quindi occorrono presenza (tempo ed energie) e buon senso.
Infine, occorre non lasciare al figlio spazi di autogestione. Questo non significa non lasciargli libertà, ma semplicemente essere informati. L’informazione deve giungere spontaneamente e in un certo senso dà la misura del grado di leadership del genitore. Quando un giovane mi scrive parlandomi dei suoi hobby o della sua vita sentimentale, capisco che i suoi genitori non hanno voce in capitolo, leadership zero.
Perché il genitore non sa diventare leader
I motivi sono quelli indicati nella Ribellione dei figli; nei casi meno gravi i genitori hanno semplicemente abdicato al loro ruolo: vorrebbero essere presenti, vorrebbero il dialogo, ma i risultati in quanto a leadership sono deludenti. L’errore più comune è che manca lo sforzo per essere leader ed è più comodo cercare di recitare questo ruolo solo quando non si entra in conflitto con altre “autorità”. Solo che le altre “autorità” diventano sempre più presenti nella vita dell’adolescente, di fatto esautorando il genitore che ha abdicato.
Un altro caso molto comune è quando i genitori sono in disaccordo e uno dei due lascia all’altro carta bianca, di fatto perdendo agli occhi del figlio autorevolezza. Se anche l’unico genitore di riferimento perderà autorevolezza, al giovane mancherà ogni riferimento familiare.