Il principe azzurro è uno stereotipo che può essere collegato alla migliore tradizione romantica positiva, nella quale il personaggio diventa l’espressione reale di concetti come la bellezza, l’onestà, l’amore ecc.
Il principe azzurro è un personaggio ricorrente nelle favole, un bel ragazzo, figlio di un re, che salva la protagonista della fiaba da incantesimi maligni, streghe o perfide matrigne. Nell’epoca moderna la locuzione principe azzurro è soprattutto utilizzata per indicare il coronamento di un sogno d’amore che molte donne portano con sé dall’adolescenza. Ma è tutto oro quel che luccica?
Per chi ha correttamente compreso i limiti del romanticismo, appare ovvio che la figura del principe sia piuttosto ingenua e possa portare da un lato a disdegnare soluzioni reali ben più positive (il soggetto diventa insofferente a ogni negatività, del resto il principe è “perfetto”) e dall’altro ad accettare soluzioni disastrose nella speranza che siano o diventino “fantastiche” (quindi il soggetto diventa un insufficiente perché “ha bisogno di trovare un principe azzurro” e finisce per dipendere da chi ritiene tale). Vediamo come distruggere la figura del principe, facendo un regalo a tutti coloro che non potranno mai ambire a esserlo, ma che possono comunque dare molto a chi è loro vicino.
Cominciamo con il dire che la figura del principe azzurro, oltre a superficiali concetti positivi, porta con sé anche molti dubbi. Il termine “azzurro” in Italia per esempio ha un riferimento “politico” perché azzurro era il colore dei Savoia e uno degli artefici dell’unità d’Italia era chiamato con tale locuzione (Vittorio Emanuele II). Ma analizziamo la fiaba di Biancaneve e vediamo come nel tempo si sia evoluta.
La versione originale dei fratelli Grimm era molto realistica perché, come molte fiabe, si basava sui racconti popolari; ci hanno messo 45 anni (la versione finale è del 1857) per addolcire la realtà e farne una grande fiaba per ingenui ottimisti.
Nella prima versione è la mamma che è invidiosa della bellezza di Biancaneve e arriva addirittura a chiedere a un cacciatore di ucciderla. Già sette anni dopo, la mamma muore subito dopo il parto ed è sostituita da una cattiva matrigna. Le versioni si susseguono soprattutto per giustificare la fine della matrigna: addirittura in una versione successiva a quella dei Grimm, la matrigna non muore, ma vive rinchiusa in una prigione dove Biancaneve ogni tanto la va a trovare perché “i buoni non conoscono l’odio”.
Nel 1937 arriva Walt Disney che decide di riproporre la favola aggiungendo ulteriori aspetti positivi, almeno secondo i canoni americani dell’epoca (le “negatività” che sfuggono a molti). Il capolavoro disneyano (il primo lungometraggio animato della Disney, ancora oggi attuale, a differenza dei tanti film dell’epoca) ha contribuito a costruire il mito del principe azzurro. Nella favola dei Grimm il principe era solo un nobile, il film gli dà sembianze perfette; i sette nani sono solo minatori, onesti e lavoratori, mentre nella versione Disney ognuno ha caratteristiche proprie e distintive, di fatto una micropopolazione del bosco; nella fiaba dei Grimm il risveglio non ha nulla di romantico: innamoratosi, il principe decide di portare il corpo al castello, ma, durante il tragitto, la bara si rovescia, il corpo di Biancaneve ruzzola e la ragazza sputa la mela avvelenata risvegliandosi, nessun romantico bacio salvatore.
Nella versione Disney c’è la tragica fine della matrigna in linea con il giustizialismo americano, ma soprattutto molti non notano la tristezza della fine: Biancaneve se ne va con il suo bel principe dando l’addio ai nani che continueranno a faticare in miniera per il resto della loro vita. Certo, stonerebbero alla corte, in un mondo perfetto.
Forse sarebbe opportuno riscrivere per l’ennesima volta la fiaba di Biancaneve dove la ragazza è svegliata con un bacio, che so, da un migrante in marcia verso la libertà (versione del volontario di una Ong) o da un operaio in cassa integrazione in tuta da metalmeccanico e senza cavallo bianco (versione del sindacalista) o dal Fantozzi di turno che cerca funghi nel bosco pur di stare lontano dalla moglie Pina (versione del sopravvivente). Probabilmente però Biancaneve, appena sveglia, invece di essere grata per essere tornata alla vita, presa coscienza di chi ha di fronte, mollerebbe un bel ceffone al malcapitato salvatore che verrebbe denunciato per molestie sessuali e finirebbe in galera.

La figura del “principe azzurro” è ricorrente nelle fiabe a sfondo romantico