Ghingheri è un termine presente nella locuzione avverbiale “in ghingheri”; è tipica del linguaggio familiare e scherzoso ed è utilizzata soltanto in espressioni quali “mettersi in ghingheri” e “[essere] tutto in ghingheri” usate in riferimento a persone vestite con grande cura ed eleganza; si veda l’esempio sottostante.
L’arrivo di Giovanna al seggio, aperto nelle scuole elementari di via Cavour, fu memorabile. Si era messa in ghingheri come per andare a un matrimonio. In più si fece accompagnare da due giovani clienti che erano uno schianto. Disse alle ragazze: «Tiratevi su le calze, donne, perché dobbiamo mandare al tappeto gli scrutatori, soltanto maschi e di quelli stagionati!». (dal libro “Manettopoli: manettari e forcaioli alla resa dei conti“; Antonio Giangrande).
Talvolta è utilizzata anche con il significato di “a nuovo”; vedasi l’esempio sotto riportato:
Detto in due parole, restano le canzoni rimesse in ghingheri dalla cantante Elisa e interpretate da un gruppo multinazionale di cantanti giovani, bravi, simpatici, infaticabili. (La Stampa, 21 febbraio 2008).

Mettersi in ghingheri è un’espressione usata nel linguaggio familiare che sta per “vestirsi con molta cura ed eleganza”.
Ghingheri – Origine del termine
L’origine del termine non è chiarissima; molti dizionari riportano la voce soltanto come sostantivo maschile plurale. Il termine ghinghero è presente sul Vocabolario etimologico della lingua italiana di Ottorino Pianigiani, un dizionario etimologico giudicato molto negativamente dai linguisti accademici; sull’opera in questione si spiega che “ghinghero” sta per “ghindolo = guindolo”, corruzione derivata dal verbo “agghingare”, forma assimilata di abbigliare; la spiegazione data dall’opera di Pianigiani è “Si usa nella maniera tutta toscana «Essere in ghingheri» che vale Essere in gala e dicesi di persona che sia vestita e abbigliata con molto studio, e della meglio roba che abbia”.
Il dizionario Sabatini-Coletti riporta: “etimologia discussa, forse deformazione espressiva di agghindare – Anno 1887”.
Esiste un’attestazione precedente al 1887; nel testo Trattato dell’arte della seta ricopiato da un manoscritto del XV sec. si trova a proposito delle “tessitore”: [avevano l’abitudine di] “serbare nella cassa i primi venti scudi risparmiati all’arte per lasciarsi il mortorio o un po’ di bene” e che circa il vestire andavano “meglio agghindate di quante altre donne… e ne’ giorni festivi le si mettevano in ghingheri portando in capo berrette con nastri e galani da fare invidia ai bovi del Pazzi che nel Sabato Santo vanno coperti torno torno alla testa di splendide moscaiole”.
Il linguista Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) afferma che la locuzione è tipicamente toscana e la fa derivare un termine tedesco (winde ovvero guindolo, una specie di arcolaio, strumento usato per dipanare le matasse).