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Carpe diem

Carpe diem è una famosissima frase latina il cui significato letterale è “cogli il giorno”; molto spesso, però, è utilizzata una traduzione più libera modificando l’espressione in “cogli l’attimo”.

La celebre espressione è tratta dalle Odi (I, 11) del poeta latino Orazio (vedasi analisi e traduzione nei paragrafi successivi), uno dei più grandi poeti dell’età augustea, coetaneo di Virgilio.

Il “carpe diem” è, sostanzialmente, un invito a godere delle gioie e dei beni che ci sono offerti dalla vita giorno per giorno, nella consapevolezza che il tempo scorre ininterrottamente e che le gioie non sono eterne (il verso oraziano prosegue con le parole “quam minimum credula postero“, ovvero “confidando il meno possibile nel domani”).

Non si tratta, comunque, è bene precisarlo, di un’esortazione a un vivere gioioso e senza alcun pensiero, quanto ad apprezzare di più ciò che si ha.

La locuzione ricorre molto frequentemente nel linguaggio comune, spesso con intenti scherzosi, e anche in quello giornalistico.

(“Da un lato, i giovani appaiono polarizzati fra un orientamento ispirato al carpe diem, al vivere esclusivamente il presente (80,1%), e da un clima d’incertezza che rende loro impossibile fare scelte definitive (81,6%)“; La Stampa, 31 marzo 2014).

Carpe diem – Ode I, 11

In quest’ode, una delle più note di Orazio, il poeta latino affronta il tema della fugacità del tempo. La morte è inevitabile e inesorabile e la vita dell’uomo è breve, ridotta a uno spazio breve e limitato: per questo il poeta rivolge l’invito a godere delle gioie del presente e a non attendere la felicità in un futuro di cui non c’è alcuna certezza. La felicità alla quale spinge Orazio non coincide con un piacere anonimo e di poco conto, ma con l’accontentarsi  del poco: in questo il poeta si rifà all’etica epicurea, che esortava al senso della misura e alla consapevolezza del giusto mezzo, proprie di un animo equilibrato, profondo e conscio dei propri limiti.

  • Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi
  • finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
  • temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati,
  • seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam
  • quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
  • Tyrrhenum! Sapias; vina liques et spatio brevi
  • spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
  • aetas. Carpe diem, quam minimum credula postero.

Carpe diem – Traduzione

  • Tu non chiedere (saperlo non è lecito) quale sorte a me, quale a te
  • abbiano dato gli dei, o Leucònoe, e non tentare
  • i calcoli babilonesi. Quanto è meglio subire ciò che sarà,
  • sia che Giove ci abbia assegnato molti inverni, sia che l’ultimo sia questo
  • che ora fiacca il mar Tirreno
  • contro le scogliere! Sii saggia; filtra il vino e limita la lunga speranza
  • a una breve scadenza. Mentre parliamo, il Tempo invidioso
  • sarà fuggito. Cogli l’attimo, confidando il meno possibile nel domani.

Analisi del testo

Il poeta rimprovera delicatamente Leucònoe, desiderosa di conoscere il proprio destino, ricordandole che gli dei hanno vietato all’uomo di conoscere il futuro, che dipende dalla volontà degli dei. Per tale ragione, l’uomo non deve fare affidamento sulla speranza futura, ma vivere il proprio presente, attimo per attimo, intensamente.

La giovane a cui si rivolge Orazio è probabilmente un personaggio fittizio, ma simbolico. Il termine “leukòs” in greco significa “bianco”, mentre “nous” è la “mente”: di conseguenza, il nome della ragazza sta a indicare una giovane “dalla mente pura”; allo stesso tempo è colei che vuole vedere “in modo più chiaro” ciò che la aspetta nel futuro.

Il riferimento ai Babilonesi si spiega perché questa civiltà aveva dato origine all’astrologia, arte alla quale è legata la predizione del futuro. In base alle pratiche babilonesi, a Roma i sacerdoti effettuavano calcoli matematici sulla base della posizione delle stelle e cercavano di determinare così il destino degli individui.

Per il poeta è preferibile ignorare il proprio destino: è serenamente rassegnato a subire ciò che gli dei hanno preparato per lui, perché il destino (qui personificato da Giove) è stabilito per ognuno al momento della nascita e, dunque, risulta non modificabile.

Egli invita Leucònoe a “filtrare il vino”: questo passaggio si spiega in riferimento alla pratica romana di filtrare il vino per renderlo chiaro e privo di impurità prima di servirlo a tavola; Orazio invita la giovane a filtrare il vino e a gustarlo, anziché cercare di “avere più chiaro” il proprio destino.

L’ode si conclude con l’invito a limitare quelle speranze lunghe, eccessive, rispetto alla brevità della vita, e con la famosa esortazione a “cogliere l’attimo”: nello spazio breve e limitato che è la vita, l’uomo deve saper sfruttare ciò che offre il presente (in latino il verbo “carpere” indica l’atto di cogliere i fiori o i frutti) “staccando”, come si fa con un frutto da un ramo, un attimo al Tempo che fugge.

Carpe diem

Carpe diem è un’espressione latina il cui significato letterale è “cogli il giorno”; molto spesso, però, è utilizzata una traduzione più libera modificando l’espressione in “cogli l’attimo”

Frasi celebri, motti e modi di dire – Locuzioni e frasi latine

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