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Ahi serva Italia, di dolore ostello

Ahi serva Italia, di dolore ostello è il verso 76 del canto VI del Purgatorio di Dante Alighieri. Siamo nell’Antipurgatorio, la parte bassa della montagna del Purgatorio, dove i penitenti cominciano il loro percorso di espiazione, dato che devono attendere un certo periodo di tempo prima di poter salire verso le cornici del Purgatorio, dove purificare i propri peccati.

Qui Dante e Virgilio incontrano i morti di morte violenta, cioè coloro che sono stati uccisi e che hanno aspettato gli ultimi momenti della loro vita per pentirsi.

In disparte i due pellegrini si accorgono di un penitente che guarda verso di loro: si tratta di Sordello da Goito, uno dei maggiori poeti italiani di lingua provenzale del XIII secolo. Quando scopre che la città natale di Virgilio è Mantova, corre verso Virgilio e l’abbraccia.

Dante, colpito da questa scena, inizia un’invettiva contro la corruzione dell’Italia. Il sesto canto, in ognuna delle tre cantiche, è il cosiddetto “canto politico”, in cui Dante analizza e condanna il degrado politico, non solo italiano, ma universale: Ciacco nell’Inferno aveva narrato le divisioni politiche nella città di Firenze, qui Sordello descriverà le lotte tra Papato e Impero in Italia, mentre nel Paradiso sarà l’imperatore Giustiniano a raccontare gli scontri tra guelfi e ghibellini nell’Impero.

Dante paragona l’Italia a un luogo di dolore, a una nave senza guida in mezzo a una tempesta:

Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello! (vv. 76-78).

Questa la parafrasi:

Ahimè Italia, resa schiava, albergo di dolore, / nave senza timoniere in mezzo a una grande tempesta, / non più donna rispettabile, ma prostituta!

A cosa è servito, si chiede Dante, che l’imperatore Giustiniano (imperatore dal 527 al 565) abbia creato il Corpus Iuris Civilis – raccolta di tutte le leggi esistenti fino a quel momento – se poi nell’Impero non c’è nessuno che le faccia rispettare?

L’accusa di Dante si rivolge alla Chiesa, che ostacola il potere imperiale con le sue continue ingerenze («Ahi gente che dovresti esser devota, / e lasciar seder Cesare in sella, / se bene intendi ciò che Dio ti nota», vv. 91-93), e all’imperatore Alberto d’Asburgo, che ha rinunciato al potere sulle regioni italiane, in lotta fra loro.

La drammatica situazione dell’Italia fa persino ipotizzare a Dante che Dio abbia distolto il suo sguardo dalla penisola e che tutto ciò, alla fine, rientri in un disegno divino incomprensibile alle capacità umane («E se licito m’è, o sommo Giove / che fosti in terra per noi crucifisso / son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? O è preparazion che ne l’abisso / del tuo consiglio fai per alcun bene / in tutto de l’accorger nostro scisso?», vv. 118-123).

Dante conclude l’invettiva in modo sarcastico, appellandosi a Firenze e ai suoi cittadini, che sono spesso pronti ad assumere cariche pubbliche, senza alcun senso della giustizia ma solamente spinti dall’ambizione e dalla cupidigia.

Oggi l’incipit dell’invettiva dantesca (Ahi serva Italia) è spesso utilizzato per criticare la corruzione della classe politica, incapace di una gestione accorta del Paese.

Ahi serva Italia - Parafrasi - Significato - Invettiva

L’invettiva di Dante, presente nel VI canto del Purgatorio, si conclude con un sarcastico appello alla città di Firenze.

Frasi celebri, motti e modi di dire – Frasi di Dante Alighieri

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