I sulfamidici (anche, ma più raramente, sulfonamidici) sono antibiotici batteriostatici (vanno a bloccare la sintesi del DNA all’interno del batterio) ad ampio spettro (sono compresi la maggior parte dei germi Gram+ e molti germi Gram-), anche se molti ceppi di una singola specie possono essere resistenti.
La sensibilità dei batteri è la medesima per tutti i sulfamidici e la resistenza di un batterio a un sulfamidico indica che esso è resistente anche a tutti gli altri. Capostipite di questa categoria di farmaci è una sostanza nota come sulfanilamide; la differenza fra un sulfamidico e l’altro deriva da una diversa posizione degli atomi contenuti nella molecola di tale sostanza.
Come detto, i sulfamidici sono antibiotici ad azione batteriostatica; evitando eccessivi tecnicismi, possiamo dire che queste sostanze agiscono bloccando l’azione della diidro-pteroato sintetasi, un enzima necessario per la formazione dell’acido folico, una sostanza fondamentale per gli esseri umani, ma anche per i batteri; l’uomo ricava l’acido folico dai cibi, mentre molti batteri non sono in grado di utilizzarlo dall’esterno e sono costretti a sintetizzarlo in maniera autonoma; se esso viene a mancare i microorganismi sono destinati a morire.
I principali sulfamidici sono il sulfisossazolo, il sulfametossazolo, la sulfadiazina, e la sulfacetamide.

L’avvento di antibiotici ad ampio spettro, come le penicilline, ha ridimensionato l’uso di sulfamidici che oggi rimangono prime scelte nel trattamento delle infezioni enteriche, del tratto urinario e in bagni oculari
Farmacologia dei sulfamidici
Nella gran parte dei casi, la via di somministrazione dei sulfamidici è quella per via orale; si può ricorrere anche alla via parenterale (in particolar modo quella endovenosa sotto forma di sali sodici), tuttavia quest’ultima modalità di somministrazione è piuttosto difficoltosa dal momento che i sali solubili dei sulfamidici sono particolarmente alcalini e irritano i tessuti.
L’applicazione topica è poi spesso sconsigliata in quanto, oltre a una scarsa efficienza, si ha possibile formazione di ceppi resistenti e insorgenza di fastidiosi problemi di sensibilizzazione.
Fatta eccezione per alcuni sulfamidici che sono progettati specificamente per esercitare un effetto locale a livello dell’intestino, gli altri vengono velocemente e ampiamente assorbiti raggiungendo livelli plasmatici massimi nel giro di due o tre ore circa.
La principale sede di assorbimento è l’intestino tenue, ma una certa quota risulta già assorbita a livello gastrico.
I sulfamidici si distribuiscono in modo piuttosto rapido in tutti i tessuti e penetrano con una certa facilità nel liquido pleurico, in quello peritoneale, in quello sinoviale, in quello oculare e in quello cefalo-rachidiano. Se i sulfamidici vengono somministrati a donne in stato interessante, producono alti livelli anche nei tessuti fetali.
I sulfamidici vengono metabolizzati soprattutto dal fegato in forme acetilate e in glicuronidi con formazione di prodotti inattivi da un punto di vista terapeutico.
Fatta eccezione per i sulfamidici intestinali, che vengono eliminati per via fecale, gli altri vengono prevalentemente escreti per via renale. La frazione acetilata di alcuni dei sulfamidici di prima produzione ha la tendenza a precipitare nelle vie urinarie determinando effetti indesiderati a loro carico. I sulfamidici non devono essere impiegati nei soggetti affetti da insufficienza renale.
Indicazioni all’uso dei sulfamidici
In teoria, lo spettro d’azione dei sulfamidici è, come detto in apertura d’articolo, molto ampio; sfortunatamente però i ceppi resistenti sono ormai decisamente numerosi.
I principali microrganismi sensibili all’azione di questi farmaci sono pneumococchi, shigelle, meningococchi, Escherichia coli, nocardia, Yersinia pestis, Chlamydia, Haemophilus, Vibrio cholerae.
I sulfamidici possono venire utilizzati per trattare diversi tipi di patologie fra le quali ricordiamo:
- enteriti da Escherichia coli
- infezioni delle vie respiratorie e del tratto urinario
- malaria (in associazione con antimalarici antifolici)
- meningiti cerebrospinali epidemiche causate da Neisseria meningitidis
- nocardiosi da Nocardia asteroides (in associazione con antibiotici)
- toxoplasmosi causata da Toxoplasma gondii
- tracoma provocato da Chlamydia trachomatis
- ulcera molle da Haemophilus ducreyi.
I sulfamidici possono venire somministrati anche per ottenere sterilità a livello intestinale prima di un intervento chirurgico. In molti casi, inoltre, vengono associati ad antibiotici (in particolare al trimetoprim, un antibiotico batteriostatico appartenente alla categoria delle diaminopirimidine).
Effetti collaterali dei sulfamidici
L’assunzione di sulfamidici può causare disturbi gastrointestinali (vomito, nausea e diarrea), sensazione di malessere generale, reazioni di ipersensibilità (quali sindrome di Stevens-Johnson, eruzioni cutanee, vasculite, malattia da siero, anafilassi e angioedema), cristalluria, oliguria e anuria, metaemoglobinemia, agranulocitosi, piastrinopenia, encefalopatia da bilirubina nel neonato (anche ittero nucleare o kernittero), anemia emolitica nei soggetti con deficit di G6PD, fotosensibilizzazione, neuriti periferiche, cefalea e insonnia.
L’ittero nucleare può essere dovuto alla somministrazione di sulfamidici alla madre al termine della gravidanza oppure al neonato; non si devono quindi somministrare questi farmaci alle donne che stanno terminando la gravidanza e ai neonati.
Altri effetti collaterali segnalati sono epatite, ipotiroidismo nonché potenziamento dell’azione delle sulfaniluree con ipoglicemia conseguente e degli anticoagulanti cumarinici (per esempio, il warfarin, più noto come Coumadin).
In letteratura sono descritti anche casi di riattivazione di lupus eritematoso sistemico quiescente.
L’incidenza degli effetti collaterali varia da sulfamidico a sulfamidico, ma la sensibilità crociata è invece frequente.
Un po’ di storia
La scoperta dei sulfamidici risale agli anni ’30 del secolo scorso; buona parte del merito è da attribuirsi al medico tedesco Gerhard Domagk che scoprì capacità antibatteriche in un colorante che veniva utilizzato nell’industria tessile (il Prontosil rosso).
Inizialmente, Domagk aveva ottenuto risultati negativi in vitro, ma, somministrò la sostanza a topi e conigli infettati con streptococchi e notò che gli animali, dopo alcuni giorni, guarivano dall’infezione.
Gli studi di Domagk furono ripresi da altri scienziati e, verso la fine del 1935, Daniel Bovet e alcuni suoi collaboratori individuarono nella sulfanilamide il principio attivo del Prontosil rosso. Bovet e i suoi collaboratori scoprirono anche che la sulfanilamide (denominata anche Prontosil bianco) si forma nell’organismo vivente dal Prontosil rosso per effetto del metabolismo. L’anno successivo, il principio attivo fu immesso sul mercato e la mortalità da infezioni si ridusse in modo drastico; qualche anno più tardi, nel 1939 per la precisione, Domagk fu insignito del premio Nobel per la medicina per la scoperta del primo antibatterico efficace nella storia della medicina; il contributo di Bovet e degli altri fu totalmente ignorato. Il medico tedesco comunque non potette recarsi a Stoccolma a ritirare il premio perché gli fu impedito dal governo nazista. Peraltro, all’epoca, molti medici tedeschi nutrivano forti dubbi sull’efficacia del principio attivo.