Gli antiaggreganti (anche antiaggreganti piastrinici) sono farmaci che agiscono interferendo con il funzionamento delle piastrine (anche trombociti, elementi figurati del sangue coinvolti nei meccanismi di coagulazione del sangue, ovvero l’emostasi) bloccando la loro aggregazione.
A voler essere del tutto precisi, molti dei farmaci in questione non agiscono in modo diretto sull’aggregazione delle piastrine, bensì nelle fasi che precedono la loro attivazione; per questo motivo, la denominazione più corretta è antipiastrinici. Anche fra gli addetti ai lavori però, i termini sono spesso utilizzati come sinonimi.
Piastrine ed emostasi
Prima di trattare in modo specifico dei farmaci antiaggreganti è necessaria una breve premessa relativa al ruolo delle piastrine. La loro struttura è molto complessa ed esse rappresentano uno dei quattro sistemi principali coinvolti nei meccanismi coagulativi, ovvero l’emostasi (o emocoagulazione), il fenomeno fisiologico che, attraverso varie fasi, conduce alla formazione di un coagulo che serve a interrompere, o quantomeno a limitare, un’emorragia.
Va precisato che le piastrine si attivano soltanto in risposta a stimoli ben precisi; se si aggregassero quando le circostanze non lo richiedono, o se, al contrario, non si attivassero al momento opportuno, si avrebbero severe conseguenze per l’organismo, vale a dire fenomeni di trombogenesi patologica o fenomeni emorragici. In condizioni normali, quindi, le piastrine si attivano soltanto quando le pareti del sistema circolatorio subiscono una lesione.
La coagulazione però può talvolta scatenarsi impropriamente (ovvero in assenza di perdite emorragiche) a causa di varie condizioni patologiche quali, per esempio, aterosclerosi, ipercoagulabilità del sangue, trombocitosi, rallentamento della circolazione, dando luogo alla formazione di trombi.
È in queste circostanze che può essere necessario ricorrere a farmaci antitrombotici, un’ampia categoria farmacologica di cui gli antiaggreganti piastrinici fanno parte, insieme ad anticoagulanti e fibrinolitici.
Antiaggreganti piastrinici: elenco dei principi attivi più noti
Fra i vari farmaci antiaggreganti, il più noto in assoluto è sicuramente l’acido acetilsalicilico (aspirina), un principio attivo che interrompe l’attivazione piastrinica in una delle sue fasi iniziali.
Altri antiaggreganti utilizzati in ambito clinico sono ticlopidina, clopidogrel, indobufene, sulfinpirazone, dipiridamolo, abciximab, tirofiban, eptifibatide ed epoprostenolo.
Impiego clinico degli antiaggreganti piastrinici
L’impiego clinico degli antiaggreganti piastrinici è piuttosto esteso. Si tratta infatti di principi attivi che hanno mostrato un’ottima efficacia nel trattamento di varie condizioni patologiche causate da fenomeni di trombosi ed embolia arteriosa, fra cui vanno senz’altro ricordate le seguenti: infarto del miocardio, ictus cerebrale e arteriopatie periferiche. Si usano quindi:
- per prevenire un secondo infarto del miocardio
- prevenire l’infarto del miocardio nei soggetti affetti da angina
- dopo un intervento di angioplastica
- dopo un intervento di by-pass coronarico
- dopo un intervento di disostruzione carotidea
- dopo un attacco ischemico transitorio cerebrale (TIA cerebrale)
- dopo un ictus cerebrale ischemico
- per trattare e per prevenire l’insorgenza di arteriopatia periferica
- per trattare soggetti giovani affetti da fibrillazione atriale che, per una ragione o per l’altra, non possono assumere farmaci anticoagulanti
- nei soggetti anziani che presentano fattori di rischio aterotrombotico (soggetti affetti da diabete mellito, ipertensione arteriosa ecc.
Modalità di assunzione degli antiaggreganti piastrinici
I farmaci antiaggreganti devono essere assunti quotidianamente a dosi fisse stabilite dallo specialista.
L’assunzione dovrebbe avvenire a stomaco pieno.
In molti casi vengono prescritti gastroprotettori da assumersi circa trenta minuti prima.
Diversamente da quanto si fa con gli anticoagulanti, non è necessario verificarne l’efficacia attraverso prelievi periodici di sangue; gli antiaggreganti piastrinici, infatti, non interferiscono con i test della coagulazione, ovvero PT e PTT. Il tempo di emorragia si allunga, ma questo non è un parametro che viene utilizzato per misurare l’efficacia del farmaco. Va comunque ricordato che alcuni farmaci antiaggreganti (in particolar modo la ticlopidina), sebbene non frequentemente, possono essere causa di una riduzione del numero delle piastrine e dei globuli bianchi; è per questo motivo che chi assume antiaggreganti piastrinici dovrebbe periodicamente effettuare un prelievo di sangue allo scopo di verificare l’emocromo.
Gli effetti collaterali degli antiaggreganti piastrinici
Com’è noto, interferendo sul funzionamento dei trombociti, gli antiaggreganti allungano i tempi dei sanguinamenti che possono verificarsi in seguito a un trauma o a un taglio. È abbastanza frequente osservare la formazione di lividi la cui estensione è sproporzionata all’intensità di un trauma, così com’è comune veder sanguinare a lungo delle ferite anche molto piccole.
L’acido acetilsalicilico è un farmaco molto utilizzato, ma non è scevro da effetti collaterali, talvolta molto importanti; può infatti causare, o far decisamente peggiorare, una gastrite, così come può determinare il sanguinamento di ulcere gastriche o acutizzarne la sintomatologia. Non a caso, gli antiaggreganti sono controindicati nei soggetti affetti da colite ulcerosa, ulcera gastroduodenale e gastrite emorragica.
Non è inoltre consigliabile il loro utilizzo nel caso di soggetti ipertesi con un cattivo stile di vita.
Anche chi ha subito da poco un intervento chirurgico dovrebbe evitare di assumere gli antipiastrinici; lo stesso vale per coloro che si trovino, per i più svariati motivi, in una condizione che comporta un aumentato rischio di emorragia.
Sono altresì controindicati ai soggetti allergici e a quelli intolleranti.
L’assunzione contemporanea di anticoagulanti e antiaggreganti non è impossibile, ma deve essere effettuata soltanto nel caso di precisa indicazione medica e dietro attenta sorveglianza. Non è infatti facilmente gestibile il loro contemporaneo utilizzo perché i rischi cui si può andare incontro possono essere molto importanti. È quindi sempre e solo il medico che può prendere tale decisione dopo attenta valutazione della situazione clinica del soggetto.
Precauzioni da osservare
Chi deve sottoporsi a un intervento chirurgico, anche di lieve importanza, deve informare prima il medico dell’eventuale terapia con farmaci antiaggreganti piastrinici che sta effettuando; in genere questa viene sospesa alcuni giorni prima e sostituita ricorrendo ad altre tipologie di farmaci (solitamente si ricorre all’eparina).

Due sono le vie principali che attivano il processo di coagulazione: la via estrinseca e la via intrinseca, queste due vie convergono poi dando origine alla cosiddetta via comune
Chi ha un cattivo stile di vita deve correggerlo, non si può infatti affidare la propria salute al solo farmaco; vanno quindi eliminati tutti quei comportamenti che aumentano il rischio di eventi ischemici (fumo, sedentarietà, abuso di droghe e/o alcolici o superalcolici ecc.). Fondamentale l’attività fisica (se non controindicata per motivi medici), l’adozione di un regime alimentare equilibrato e la lotta al sovrappeso. Importanti anche di controlli clinici (glicemia, trigliceridi, colesterolo ecc.) e il controllo della pressione arteriosa.
Come detto, la terapia con farmaci antiaggreganti piastrinici è giornaliera e deve essere effettuata seguendo le indicazioni del proprio medico di base o dello specialista; non si dovrebbe mai scordare di prendere il farmaco o, ancora peggio, assumerlo due volte.
Se, per necessità varie, si devono assumere altri farmaci, è necessario informarsi prima con il proprio medico; in genere, per esempio, si dovrebbe evitare l’assunzione di FANS quali diclofenac, nimesulide ecc. perché aumentano il rischio di emorragie. Se necessario, e comunque sempre dietro indicazione medica, è più opportuno ricorrere al paracetamolo (Tachipirina) o alla noramidopirina.
Qual è la differenza fra antiaggreganti e anticoagulanti
Non si deve fare confusione fra farmaci antiaggreganti piastrinici e farmaci anticoagulanti; si tratta infatti di due categorie farmaceutiche ben diverse.
Gli anticoagulanti bloccano i fattori della coagulazione e, di norma, vi si ricorre per il trattamento delle trombosi venose; sono efficaci anche nel trattamento di trombosi arteriose e nella prevenzione di emboli che possono determinare ictus cerebrale (come può accadere a chi soffre di fibrillazione atriale).
Gli antiaggreganti, invece, come già ampiamente esposto, agiscono sul funzionamento delle piastrine e non sui fattori di coagulazione.
NOTA IMPORTANTE – Questa pagina non sostituisce in alcun modo le informazioni presenti nei foglietti illustrativi che accompagnano i farmaci; in particolare per composizione, forma farmaceutica, posologia, proprietà farmacologiche e informazioni farmaceutiche riferirsi al foglietto illustrativo. Nessun farmaco deve essere assunto senza consultare il proprio medico.