La scelta del medico sportivo non è così banale come potrebbe sembrare a tutti coloro che hanno piccole patologie da sport e che, erroneamente, sono convinti che un medico valga l’altro, vista la non gravità della loro condizione. Attualmente in Italia, purtroppo, da parte della classe medica, non esiste una cultura della qualità della vita. C’è piuttosto un atteggiamento da terzo mondo in base al quale l’aspetto più importante della professione medica resta il salvare delle vite umane. Purtroppo molti professionisti (anche validi e affermati da tempo) non comprendono che in un Paese evoluto, il medico non serve solo per curare chi sta male, ma anche per far vivere meglio chi sta bene. Questa situazione diventa eclatante quando si parla di sport: capita sovente di trovare medici (anche specialisti) che sconsigliano caldamente la pratica dell’attività sportiva a chi ha superato i quaranta anni di età, dal neurochirurgo che sostiene che correre fa male alla schiena (solo perché ha fra i suoi pazienti un runner con ernia del disco: piccolo particolare il runner è dieci chili sovrappeso e corre scriteriatamente svariate maratone all’anno) al cardiologo che invita un runner senza nessuna patologia cardiaca a non superare comunque la frequenza cardiaca di 145 battiti al minuto, frequenza calcolata con la preistorica formula dell’80% di (220-età), per non parlare del medico di base che consiglia di non fare più di tre o quattro chilometri per seduta a chi corre “soltanto” da un anno.
Il quadro si aggrava ulteriormente quando si tratta di medici sportivi: troppi atleti over 40 sono stati disincentivati a continuare nella pratica dello sport da medici sportivi che non sanno prendersi le proprie responsabilità. Ogni volta che in un over 40 incontrano un’extrasistole (fenomeno di per sé non patologico), un soffio cardiaco, tracce di sangue nelle urine, anziché andare a fondo della cosa, preferiscono la soluzione più facile: “lei è una persona perfettamente normale, ma è meglio che non faccia sport o perlomeno non quello agonistico”. È chiaro che di fronte a un atleta di vent’anni, magari con notevoli prospettive, non ragionerebbero così e andrebbero a fondo della situazione, per poi scoprire che, nella stragrande maggioranza dei casi, non c’è nulla di patologico. La colpa di questi medici è duplice perché, disincentivando allo sport, non fanno altro che dirigere il soggetto verso veri fattori di rischio come l’obesità, l’aumento dell’indice di rischio legato al colesterolo, l’aumento dei livelli di trigliceridi e della glicemia.
La morale deve essere dunque questa: è vero che, come diceva Don Abbondio, se uno il coraggio non ce l’ha non può darselo, ma se uno fa il medico sportivo e non ha coraggio, beh, forse avrebbe fatto meglio a scegliere un’altra professione.
Per concludere (come emerge dall’articolo La morte da sport) il messaggio è che
in un atleta sano il rischio da sport è indipendente dall’età;
l’età è un fattore che aumenta di molto la probabilità di patologie, ma, se queste non si trovano, il soggetto è sano e abile all’attività sportiva anche a 90 anni.
Quindi, il primo punto da considerare è la propensione del medico sportivo a guarire l’atleta e fargli praticare ancora sport. Definirei questa propensione come compatibilità del medico con lo sport! Ovvio che un medico sportivo che non la possiede dovrebbe semplicemente cambiare specialità.
Una distorsione della compatibilità è quella di indirizzare verso un altro sport. Nel caso si parta dalla corsa, è un classico che un medico sportivo dalla compatibilità “distorta” rivolga il paziente verso ciclismo o nuoto. Ebbene, negli ultimi quindici anni ho seguito le vicende di oltre 100 runner cui era stato vivamente sconsigliato di correre per problemi alla schiena, indirizzandoli verso altri sport (non ultimo il walking!). Ebbene, in oltre l’80% dei casi il runner è tornato a correre tranquillamente e lo fa ormai da anni. Dove aveva sbagliato il medico?
- Non si era minimamente interessato della storia atletica del runner, i cui problemi alla schiena derivavano da un abuso della sua distanza critica (di solito maratoneti o mezzi maratoneti incalliti). Ridotto il chilometraggio, passato il mal di schiena (36% dei casi risoltisi positivamente).
- Non si era minimamente interessato della situazione alimentare. Quasi sempre si trattava di soggetti normopeso per gli ottimistici canoni dei sedentari (vedasi le tabelle di magrezza), ma decisamente sovrappeso per il running. Calati di almeno 2 punti nell’IMC (per esempio da 24 a 22), scomparso il mal di schiena (48% dei casi).
- Non aveva avuto il coraggio di indagare se la patologia fosse passeggera o dipendesse da altri fattori occasionali e non sportivi (per esempio, nelle donne, borse dal peso non indifferente portate a tracolla o a zaino) e aveva lanciato immediatamente il suo anatema contro la corsa (16% dei casi).
Supponiamo che il medico sia compatibile. Basta? Sicuramente no. Vediamo altri importanti caratteristiche.

Non è raro il caso di medici che sconsigliano caldamente la pratica dell’attività sportiva a chi ha superato i quaranta anni di età
I tempi di attesa
Un medico sportivo che ha tempi d’attesa oltre le 3 settimane è scusabile solo se è un chirurgo (in altri termini, le situazioni sportive che necessitano di un intervento sono così gravi che il tempo d’attesa può essere utilizzato per tutta una serie di esami e, non essendoci alternative all’intervento, risulta marginale aspettare 10 o 30 giorni, a meno di non essere professionisti). Il problema è che nella maggior parte delle situazioni all’inizio, prima di una diagnosi certa e definitiva, l’operazione non è l’unica opzione e quindi il chirurgo con tempi di attesa molto lunghi dovrebbe essere una seconda scelta, una volta stabilito che non ci sono alternative.
Il tempo della visita
Uno dei motivi per cui la pochissimo affidabile medicina alternativa prende comunque i suoi spazi a scapito di quella tradizionale è che i medici convenzionali spesso banalizzano la visita, dedicando non più di 15-20′ al paziente, sfruttando il loro delirio di onnipotenza che li porta a capire tutto in pochi nanosecondi e ritenendo che ogni spiegazione medica molto dettagliata (magari in termini facilmente comprensibili a chiunque) sarebbe del tutto inutile, “tanto il paziente non capirebbe”.
Se, per esempio, un medico sportivo consiglia lo stretching, dovrebbe comunque perdere almeno 5′ a spiegare gli esercizi, mentre spesso gli fa più comodo supporre che il paziente sia un esperto in materia (ovviamente poi eseguirà malissimo i vari esercizi…).
L’aggiornamento
Ovviamente un medico deve essere aggiornato sugli ultimi sviluppi del settore. Quello che da anni continua a proporre le stesse soluzioni è meglio lasciarlo perdere perché è analogo al dentista che propone ancora oggi delle bellissime dentiere (protesi) a chi potrebbe farsi tranquillamente uno o più impianti.
Gli esami e la diagnosi
Tranne casi “incomprensibili”, diffidate di chi propone esami a tappeto: gli esami possono confermare una diagnosi, non la fanno! In altri termini, sono capaci tutti a utilizzare una montagna di esami per capirci qualcosa, non occorre una laurea in medicina.

Il terapeuta deve essere utilizzato per eseguire terapie (fisioterapista) oppure per casi veramente seri (ortopedico sportivo)
L’effetto tempo
L’uso dell’effetto tempo associato a terapie palliative è uno dei trucchi con cui il medico fa tornare N volte il paziente nella speranza che questi guarisca spontaneamente da sé. I nuovi appuntamenti devono servire per affinare e potenziare la terapia, non per far passare il tempo!
Il vero problema è che spesso, prima di trovare un valido professionista che possa supportare l’amatore, si possono inanellare talmente tante delusioni che le motivazioni a fare sport si riducono al lumicino.
Con questo scenario, mi sembra ragionevole continuare a riproporre il concetto che il terapeuta deve essere utilizzato per eseguire terapie (fisioterapista) oppure per casi veramente seri (ortopedico sportivo). Nel mezzo c’è tutta una serie di situazioni che il soggetto deve essere in grado di gestire da sé con tre armi fondamentali:
a) la conoscenza dei principali tipi di infortunio cui si può andare incontro. Una carrellata fra gli articoli della sezione Medicina sportiva può essere utile a tutti per capire, per esempio, la differenza fra una semplice contrattura e uno strappo oppure per capire di avere qualcosa al tendine rotuleo ecc.
b) Il primo intervento (per esempio nel caso di infiammazione si possono usare antinfiammatori, ma solo per 2-3 giorni per valutare il loro impatto sul problema; nel caso di distorsione si deve sapere che un bendaggio corretto e tempestivo è fondamentale ecc.); i dati del primo intervento si trovano facilmente in Rete o su molte pubblicazioni. Attenzione: primo intervento non vuol dire cura. Vuol dire tutto ciò che si deve (o non si deve: vedi massaggiare uno strappo!) fare subito.
c) Il riposo atletico. Tale riposo può andare da una a due settimane. Errore gravissimo è perseverare e correre col dolore.
Con queste tre armi poi rivolgetevi pure al terapeuta che avete scelto in base ai fattori sopra considerati. Auguri!