Qual è l’influenza del pensiero negativo nella prestazione dell’atleta dedito alla corsa di resistenza? La domanda è sicuramente interessante e per rispondere in modo esauriente è necessaria un’approfondita analisi. Durante una gara pensare positivo aiuta sicuramente, ma rischia di essere un atteggiamento troppo ottimistico e controproducente, se si riduce a una visione irrealistica della gara. Pensieri del tipo “oggi è la mia grande giornata”, “ho staccato il mio avversario di sempre” ecc. si trasformano in boomerang terribili non appena sopraggiunge una piccola crisi o l’avversario recupera e ci riaffianca. Nella corsa di resistenza il vero pensare positivo significa “non avere un pensiero negativo”. Questo atteggiamento è sempre produttivo e dà la dimensione della maturità agonistica del soggetto. In questo articolo esamineremo gli atteggiamenti negativi che non riguardano la fatica, oggetto de L’allenamento mentale negli sport di resistenza. Infatti, incredibilmente molti pensieri negativi non riguardano la fatica che si sta facendo, ma spaziano su tutto il vissuto del soggetto.
Pensiero negativo e vita extrasportiva
Se durante una competizione (o un allenamento impegnativo) portate l’attenzione su un focus extrasportivo (lavoro, famiglia ecc.) è ovvio che la priorità dello sport verrà miseramente abbassata e i risultati saranno modesti. Non è facile esaurire in poche righe l’argomento, ma come consiglio generale, se ciò accade spesso, è opportuno che rivediate le vostre priorità, imparando a lavorare a compartimenti stagni: quando si fa sport, si fa sport e basta. Come quando si lavora, si lavora e basta, quando si sta in famiglia questa ha la massima priorità ecc. Sicuramente migliorerà anche la vostra vita, se imparerete a isolare il contesto e a renderlo inattaccabile.
L’imprevisto
Può verificarsi prima della gara o durante. Oltre ovviamente a mettere in essere la miglior strategia possibile per gestirlo, è opportuno capire subito se sia o no gestibile. Ciò che succede in gara, spesso non lo è. Se si slaccia una scarpa, anziché pensare che abbiamo sprecato una gara che stava andando benissimo, quantifichiamo quanto perdiamo nel riallacciarla (20″?) e quanto perderemmo correndo con la scarpa slacciata. Se mancano 500 m la strategia migliore è correre facendo finta di nulla, probabilmente non perderemo granché. Se mancano 6-7 km, possiamo sfruttare i 20″ per rifiatare un attimo: non ne perderemo proprio 20 perché grazie alla sosta, partiremo con nuove energie (in fondo stiamo facendo una ripetuta con recupero 20″).
Pensiamo a un tratto in salita, a un tratto di sterrato, a una discesa troppo ripida ecc.: tutti esempi di imprevisti che non si possono gestire che affrontandoli. La strategia migliore, anziché la fuga, è la comprensione dell’imprevisto. Se odio le salite, sicuramente usarle come alibi per un rallentamento eccessivo o per una gara mediocre non è costruttivo. La soluzione più costruttiva è imparare ad amare ciò che odiate.
Odiate la salita? Imponetevi di essere un novello Rocky che ha deciso di scollinare senza fermarsi e miseramente farla al passo. Siete troppo pesanti? Okay, pensate a come volerete la salita quando dimagrirete! Ecc.
Odiate la discesa? È ora di vincere la paura delle altezze o la vostra rigidità articolare che pensate possa farvi ruzzolare a ogni passo. Entrate in sintonia con ciò che vi circonda e scendete apprezzando le cose positive come la velocità che mai riuscireste a raggiungere in piano o l’elasticità delle gambe che finalmente può esplodere dopo tanti lenti. Date fiducia alle caviglie e vedetele forti anziché fragili e di pasta frolla.
Gli esempi si sprecano e li lascio come utile esercizio.

Qual è l’influenza del pensiero negativo nella prestazione dell’atleta dedito alla corsa di resistenza?
L’avversario
È incredibile come i maggiori pensieri negativi (o positivi) riguardino l’avversario. Se a livello professionistico ciò può essere giustificato, a livello amatoriale assolutamente no. Il motivo è che negli amatori il livello dell’atleta subisce variazioni notevolissime (vi ricordate quella brutta gara corsa dopo la maxiabbuffata di quel sabato sera?) e ha poco senso esaltarsi perché l’avversario si è staccato (magari è fuori forma, stanco ecc.) o perché vi ha staccato (magari è partito troppo forte!). L’amatore maturo a livello agonistico si interessa degli avversari solo nella parte finale della gara, quando si gioca il tutto per tutto. Strategie come “seguo Tizio fin dal primo metro” possono essere logiche a livello di test, ma non come unica strategia.
In realtà, la cosa migliore è avere una piena consapevolezza del proprio valore e impostare la gara in base a esso. L’avversario è davanti? Se è partito troppo forte scoppierà; se non scoppia vuol dire che è semplicemente più forte di noi. L’avversario è dietro? Non importa, io faccio la mia corsa e guardo avanti. Il rilievo fatto sulle maratone dove solo circa il 10% corre la seconda metà come o più velocemente della prima è ancora più drammatico nelle corse brevi, dove tutti partono inseguendo atleti più forti, illudendosi di resistere. Questo non è pensiero positivo, è solo masochismo.
Infine ricordatevi che per un amatore il miglior pensiero positivo prima e durante la gara è che oggi è lì per divertirsi.