Ipotensione e corsa: ne parliamo perché una percentuale non indifferente di runner è soggetta a una pressione arteriosa bassa (più tecnicamente ipotensione arteriosa) e sono molti quelli di loro che ci chiedono delucidazioni in merito. Come molti sapranno, la pressione arteriosa è in genere studiata per gli effetti negativi che ha un suo innalzamento (ipertensione arteriosa, una condizione salutisticamente piuttosto preoccupante) e, per quanto riguarda l’ambito sportivo, abbiamo trattato quest’ultimo aspetto nei seguenti articoli:Ipertensione e corsa e Ipertensione sotto sforzo. In questo pezzo tratteremo quindi, per dare completezza al quadro, e sempre relativamente all’ambito sportivo, del problema opposto, dell’ipotensione appunto, anche perché molti principianti utilizzano questa situazione come vero e proprio alibi per limitare l’attività sportiva. Per prima cosa, si deve subito evidenziare che una pressione bassa, anche piuttosto bassa (per esempio 100-60), può generare piccoli fastidi (per esempio capogiri quando ci si alza velocemente da una posizione sdraiata; si parla in questo caso di ipotensione ortostatica), ma in genere è un fattore positivo per il sistema cardiovascolare (che lavora di meno) e quindi è un fattore che “allunga la speranza vita”.
Ipotensione e attività aerobica: la teoria
La pressione massima (pressione sistolica) dipende dalla capacità del ventricolo di generare pressione e dall’elasticità del sistema arterioso, mentre la pressione minima (pressione diastolica) dipende dalla facilità con cui il sangue lascia le arterie e quindi dalle resistenze periferiche.
L’attività aerobica aumenta la gittata cardiaca e diminuisce le resistenze periferiche migliorando la rete di capillari, quindi abbassa la pressione; questo effetto si ottiene anche con attività fisica a bassa intensità e con una frequenza di 2-3 sedute settimanali.
Alcuni studi (Kasch e Boyer, 1969; Hagberg, 1981; Urata, 1987; Baglivo, 1990) quantificano questa diminuzione in 6-10 mmHg.
Lo studio più interessante è invece quello di Hagberg (1989) che ha seguito la variazione dopo un allenamento a bassa intensità di 9 mesi; la pressione sistolica (massima) diminuiva di 20 mmHg mentre la diastolica (minima) di 12 mmHg.
Per chi invece pratica lo sport a intensità medio-alta intensità la diminuzione è ancora maggiore, ma ovviamente nulla si può dire perché troppo soggettiva.
Si suppone che intervengano altri fattori come la riduzione dell’attività ortosimpatica indotta dall’allenamento (che comporterebbe un’ulteriore riduzione delle resistenze periferiche) e la maggior eliminazione di sodio a livello renale (con una maggiore perdita di acqua, una riduzione dell’acqua circolante e una riduzione della massa plasmatica con conseguente riduzione della pressione arteriosa).

Facendo riferimento a un soggetto adulto, si parla di pressione bassa quando i valori pressori a riposo si attestano sotto ai 90/60 mmHg
Conclusioni
Considerato quanto affermato nei paragrafi precedenti, si può concludere che:
- Il limite di normalità della pressione è soggettivo e definito dai piccoli fastidi che la pressione bassa può portare con sé. In genere valori di 100-60 sono ben tollerati da moltissimi sportivi.
- L’ipotensione deve sempre considerarsi un vantaggio salutistico, tranne i casi di cui al punto 4.
- Con l’allenamento la frequenza cardiaca diminuisce perché il cuore pompa meglio; parallelamente diminuisce anche la pressione. Quindi gli abbassamenti della frequenza cardiaca e della pressione sono due effetti di una stessa causa (allenamento).
- La pressione bassa deve essere controllata quando provoca svenimenti o un’astenia eccessiva. In realtà si scopre che spesso queste situazioni si concretizzano in soggetti che male interpretano l’attività sportiva, soprattutto dal punto di vista psicologico, soggetti poco equilibrati che eccedono nella quantità o nella qualità in riferimento ai loro mezzi atletici.
Infine, un semplice trucco per alzare la pressione arteriosa.
Medicina sportiva – Ipotensione e corsa