Sono ormai più di venti anni che le intolleranze alimentari sono entrate a far parte del mondo degli sportivi, anni i cui risultati hanno praticamente distrutto ogni sogno di gloria di tutti quei runner che sono pronti ad affidarsi a tutto pur di migliorare qualche secondo o per giustificare il fatto che finora non hanno ancora vinto le Olimpiadi. Per affrontare il problema con cognizione di causa è necessario: 1) sapere cosa sono le intolleranze; 2) capire che esistono false intolleranze; 3) sapere che non esistono “test per le intolleranze” affidabili. Esauriti questi tre punti, si potrà capire perché per lo sportivo è veramente illusorio cercare un miglioramento della prestazione attraverso la cura delle intolleranze. Personalmente, anche dopo un’illuminante esperienza personale, mi sono fatto la convinzione che non c’è nulla di scientifico.

L’intolleranza al lattosio, disturbo abbastanza diffuso nella popolazione
Una moda
Si deve premettere che si dà sempre per scontato che un’intolleranza alimentare peggiori la prestazione (alcuni metodi sostengono che l’intolleranza viene rilevata da un abbassamento della forza del soggetto quando viene in contatto con la sostanza incriminata). In realtà, non è detto che sia così. Molte sostanze dopanti hanno effetti collaterali, per esempio manifestazioni dermatologiche, ma non peggiorano la prestazione, anzi… Allo stesso modo, un’intolleranza che provocasse eczemi, riniti ecc. non è detto che peggiori la prestazione, anzi come le sostanze dopanti considerate potrebbe addirittura migliorarla!
E allora perché le intolleranze alimentari sono di moda fra gli amatori? Diversi sono i motivi:
1) Scarso spirito critico. Un amatore mi riferiva che dopo le festività natalizie era peggiorato di 30″/km (!!!); durante le festività aveva mangiato in abbondanza latte e latticini, alimenti a cui a suo dire era intollerante. Avrei voluto sapere quanti chilogrammi era aumentato…
2) Euforia da speranza. La speranza di trovare qualcosa che ci faccia diventare campioni (integratore, cura delle intolleranze, scarpe nuove ecc.) offusca ogni nostra critica razionale: non accettiamo i nostri limiti e siamo pronti a credere in qualunque cosa ci proietti fra gli eletti.
3) Confusione fra le cause. È ovvio che, quando ci si allena seriamente, diverse sono le cause che ci fanno migliorare. Se ci si autoconvince (senza un’analisi critica) che il miglioramento è dovuto totalmente a uno solo dei fattori fra quelli possibili, ecco che non si arriverà mai alla vera causa.
Il miglioramento facile – L’ultimo punto è particolarmente interessante perché (come nel caso degli integratori) un miglioramento in un amatore non è significativo nei confronti di una causa presunta perché in genere non si opera in condizioni ottimizzate. Cosa significa ciò? Se considero un giovane promettente, probabilmente il suo allenatore avrà già fatto di tutto per ottimizzarne la prestazione: non è in sovrappeso, si allena tanto e bene, il materiale da competizione è il migliore possibile ecc. ecc. In un amatore, generalmente, tutte queste condizioni non si verificano: ecco quindi che è molto più facile farlo migliorare. Questo semplice ragionamento ci deve convincere che
per valutare l’efficacia di un fattore nella prestazione occorre rivolgersi ai campioni e non agli amatori.
La sfida
Riprendendo il concetto di miglioramento facile, occorre rilevare che i sostenitori delle intolleranze alimentari non hanno mai ottenuto nulla con i top runner. Infatti, se fosse vero che il 50% dei soggetti soffre di intolleranze alimentari, basterebbe considerare 100 giovani da 14’10” sui 5000, scoprire la metà intollerante, correggere le intolleranze e ottenere circa 50 atleti da diciamo 13’30”, cioè di caratura internazionale. Ciò non è mai successo. Anzi, si deve rilevare come i sostenitori delle intolleranze migrino in campo amatoriale o in campi professionistici non ancora esplorati: nelle ultramaratone per esempio è abbastanza facile migliorare tanti altri fattori e attribuire il merito alla cura delle intolleranze!