La morte durante lo sport è un fatto che colpisce molto l’opinione pubblica, ma è una chiara dimostrazione di come sia povero l’intuito statistico nella popolazione. Se si considerano, per esempio, il numero di partecipanti alle maratone italiane e il tempo di percorrenza, non è difficile mostrare che il numero di morti durante le maratone è inferiore rispetto a quello di un’analoga popolazione casuale monitorata per un tempo equivalente: in altri termini, ritenere immediatamente la corsa la causa della morte è forzato, come forzato sarebbe il giudicare “cause” le attività che il soggetto stava compiendo (lavoro, guardare la televisione, sistemare il giardino, fare l’amore ecc.).
Morte da sport – Alcuni numeri
- La morte improvvisa da sport (MIS) ha un’incidenza da 9 a 23 casi per milione a seconda dello sport praticato e della tipologia dell’atleta.
- Gli sportivi più colpiti sono quelli di basso livello agonistico (80%).
- Un dato curioso riguarda il fatto che la MIS è più frequente nelle competizioni ufficiali (79%) che negli allenamenti (21%), anche se, realisticamente, i secondi occupano molto più tempo delle prime.
- Uno studio pubblicato su Jama (2006) mostra una mortalità di 8 casi/milione per non atleti contro 36 in atleti non controllati e 4 in atleti controllati.
- Per effetto dei controlli viene escluso dalle competizioni il 2% degli atleti.
- L’Italia è all’avanguardia nella prevenzione, prevenzione che negli altri Paesi è spesso minimale.
Partendo dall’ultimo punto, molti medici sportivi sostengono che “gli altri Paesi sono rimasti indietro”. Personalmente ritengo che sia l’Italia a non aver capito nulla e questo articolo ha proprio lo scopo di dimostrare come il business della prevenzione a ogni costo sia assurdo dal lato pratico.
Le cause della morte da sport
La morte improvvisa è in genere dovuta a un blocco della funzionalità cardiaca dovuto a una causa meccanica o, più frequentemente, elettrica. Perché ciò avvenga, occorrono due fattori (ripeto: DUE): un evento scatenante e un cuore malato.
L’evento scatenante può essere legato alla corsa (mancanza di ossigeno, acidosi lattica, aumento della temperatura corporea ecc.) mentre il problema cardiaco può essere
- rilevabile con una visita opportuna
- non rilevabile.
Le patologie rilevabili – Molte patologie cardiache sono rilevabili con semplici esami come elettrocardiogramma o ecografia cardiaca.
Quest’ultima è spesso consigliata dopo una visita sportiva, allarmando l’atleta più del dovuto: si tratta comunque di un esame di routine che viene richiesto a una percentuale molto alta di soggetti che si sottopongono alla visita sportiva. Le patologie come la cardiomiopatia ipertrofica, la displasia aritmogena del ventricolo destro*, la sindrome di Marfan, la miocardite, le anomalie congenite delle arterie coronarie, la stenosi aortica in valvola bicuspide, il QT lungo idiopatico**, il Wolff-Parkinson-White sono per fortuna patologie poco comuni e sicuramente non la causa principale di morti da sport.
Le patologie non rilevabili – Attualmente con la visita d’idoneità non è possibile conoscere lo stato dei vasi del soggetto, in altri termini, non si è in grado di avere nemmeno una probabilità della causa più comune di morte. Sopratutto nell’amatore over 40, la causa principale di gran lunga più probabile della morte da sport è infatti l’aterosclerosi coronarica, cioè in parole povere l’infarto.
Ciò spiega come l’atleta allenato sia in genere protetto più del sedentario che affronta una prova sportiva: in realtà, molti casi di morte da sport sono relativi ad atleti occasionali (la classica partitella a calcio fra amici o la partita di tennis alle due del pomeriggio), gli “sportivi della domenica”, tanto per intenderci. Sono soggetti predisposti perché il loro cuore è già intaccato dall’aterosclerosi coronarica.
Anche atleti di un certo livello possono presentare il problema: un atleta, la cui autopsia rivelò la completa occlusione di un vaso coronarico, tre settimane prima aveva corso la maratona in 3h06′ (fonte Macchi e Franklin). La stessa fonte cita che il 77% degli atleti deceduti presentava aterosclerosi coronarica e il 32% ipertensione arteriosa.
Il concetto di coincidenza temporale deve essere chiaro: la corsa non causa l’infarto. Perché, se una persona è colpita da infarto mentre lavora o guarda la televisione, non si associa l’infarto al programma televisivo (ipotesi sensata, visti certi programmi…) o al lavoro mentre quando ciò avviene durante una maratona si pensa subito allo sforzo come causa?
Per fortuna, accade spesso che un soggetto con aterosclerosi coronarica che pratica sport abbia dei segnali premonitori prima del vero e proprio infarto (affaticamenti eccessivi, malori ecc.) che permettono un intervento prima che la situazione si aggravi.
Paradossalmente, se questo soggetto fosse stato sedentario e non avesse fatto sport, i segnali premonitori non ci sarebbero probabilmente stati e si sarebbe arrivati direttamente all’evento fatale.
La visita d’idoneità
Una delle conseguenze della morte improvvisa di sportivi professionisti è la richiesta di controlli sempre più accurati. Questa posizione rischia di essere un boomerang pazzesco.
Da un punto di vista medico, l’Italia è rimasta (con Israele) il Paese dove si controlla di più; sì, negli altri Paesi si controlla di meno. Questo non per insensibilità verso la vita degli atleti (soprattutto amatori), ma per una scelta razionale.
Spieghiamoci con qualche numero.
Oggi con una visita che comporta fra l’altro un elettrocardiogramma dopo sforzo (che dovrebbe essere fatto bene!) si scoprono molte patologie, soprattutto in giovani atleti e ragazzi. Nei casi dubbi si ricorre a esami più accurati (ecografia cardiaca, esame del sangue, Holter ecc.). Risultato: si salvano 32 vite per milione (secondo lo studio di Jama, ma tale dato appare ottimistico, visto che in Italia si ha notizia di un numero superiore a 4 morti l’anno fra sportivi controllati e sicuramente non si supera il milione unità di chi ha fatto una visita agonistica). Il costo medio di una visita (compreso quello di eventuali approfondimenti che sono abbastanza frequenti) è di circa 100 euro.
Le domande che si sono fatti negli altri Stati sono:
- quanti, per il costo della visita, rinuncerebbero alla stessa, praticando sport non agonistico (il classico esempio di chi muore per una partita di calcetto fra amici)? La risposta è: decine di migliaia di persone che non farebbero nemmeno la visita di primo livello; il numero dei decessi in questo insieme sarebbe per lo meno equivalente a quello dei decessi evitati con i maxicontrolli.
- In base al punto 5, il numero dei falsi positivi è enorme: su un milione, a fronte di 20.000 persone fermate per sempre, se ne salvano 32 all’anno. Per eccesso di zelo, sono cioè fermati anche molti soggetti completamente sani (la medicina non è onnisciente e oggi restano dei confini imprecisati fra soggetti sani e soggetti patologici) che, ritornati fra i sedentari, con un peggior stile di vita, si esporranno a rischi salutistici maggiori e speranza di vita diminuita. Fra dieci anni, quanti dei 20.000 fermati moriranno per un peggior stile di vita dovuto a una vita forzatamente sedentaria?
- Premesso che non è da trascurare il fattore commerciale per cui molti centri medici propongono esami del tutto inutili con la poco scientifica giustificazione del “mah, non si sa mai, è meglio stare tranquilli”, un costo di 100 milioni di euro per 32 vite è troppo elevato: quante vite si possono salvare destinando tale somma ad altri interventi nella sanità?
Una visita più moderna – Dalle considerazioni precedenti risulta evidente che la visita medica deve diventare più efficiente. Può farlo solo evitando ipocrisie (se, per esempio, si vietasse lo sport a chi fuma, molte stelle del calcio sarebbero out; ma almeno vietiamolo ai fumatori over 40, visto che il fumo è il primo fattore di rischio per l’infarto) e diventando più professionale. Occorre integrarla con altri esami (come quello del sangue e delle principali droghe, fumo incluso) e con una valutazione dello stile di vita del soggetto, escludendo per esempio tutti coloro che sono in sovrappeso sportivo, visto che attualmente tale parametro non è considerato per gli sportivi amatori. Certo, i costi lieviteranno, ma basterebbe renderla quinquennale (come si fa con la patente o il porto d’armi), visto che molte gravi patologie cardiache scoperte sono congenite e che lo stato del soggetto difficilmente cambia radicalmente in 12 mesi.
Per fare proposte del genere ci vuole coraggio e si va contro molti interessi, ma è l’ipocrisia il male peggiore…

La visita di idoneità sportiva è obbligatoria nel nostro Paese fin dal 1982
Correre piano perché il cuore scoppia?
Una delle sciocchezze più grandi che si sentono normalmente dire nel mondo del fitness è che è consigliabile (soprattutto se si ha una certa età) correre piano per evitare problemi cardiaci. Alla luce di quanto detto sopra, dovrebbe essere evidente che questo consiglio è inutile e fisiologicamente assurdo; l’unico scopo che ottiene è di limitare grandemente le possibilità sportive (e quindi salutistiche) del soggetto.
Purtroppo il diffondersi dell’uso del cardiofrequenzimetro ha fatto sì che vi fosse un facile alibi per medici e trainer (che non si preoccupano di verificare attentamente la salute dell’atleta) e per soggetti ipocondriaci (sempre preoccupati per la propria salute) o svogliati (non è necessario fare fatica!). A questi personaggi sfugge completamente il fatto che un cuore sano (se non lo è, è meglio non correre) ha meccanismi di controllo tali che impediscono il suo danneggiamento, a qualunque intensità si corra.
Sembrerà strano, ma non esiste una massima frequenza cardiaca consentita. Nella corsa si raggiunge (per esempio alla fine di una gara tiratissima sugli 800 m) una frequenza cardiaca praticamente uguale a quella massima. Contrariamente alla credenza comune, nessuno può suicidarsi correndo all’impazzata e facendo aumentare la frequenza cardiaca oltre certi valori. Se la persona è sana, il cuore ha meccanismi di controllo (basati sui livelli di lattato, il cuore non sa funzionare anaerobicamente) che impediscono che si faccia male (ved. Capitolo 8 de Il manuale completo della corsa).
Conclusioni
Questo articolo è rivolto a medici sportivi, atleti in attività, sedentari. Lo scopo è diverso per ogni categoria.
Ai medici sportivi vuole evidenziare come la morte da sport sia un fatto tutto sommato molto improbabile. Troppi medici sportivi adottano nella loro attività un atteggiamento iperconservativo che alla fine penalizza l’atleta. Tipicamente vengono disincentivati alla pratica sportiva atleti perfettamente sani sulla base di sospetti, accertamenti da eseguire ecc. La risposta classica (e non scientifica) è: “non hai niente, ma è meglio se non fai sport”. Questa scarsa professionalità porta l’atleta, soprattutto se amatore e avanti con l’età, a passare dalla parte opposta della barricata, diventando un sedentario convinto, e probabilmente a morire prematuramente d’infarto dieci anni più tardi, dopo essere ingrassato di quindici chili. Il medico sportivo deve cioè assumersi la responsabilità di dichiarare non idoneo un atleta solo se è malato:
non esistono soggetti sani e non idonei!
All’atleta in attività questo articolo vuole insegnare da un lato come difendersi da tutti coloro che attaccano lo sport come fonte di potenziali danni fisici e dall’altro come integrare la pratica sportiva con altre scelte di vita: non ha senso fare sport se non si segue un’alimentazione corretta o non si cerca di limitare lo stress del proprio lavoro. L’atleta deve anche sapere che lo sport può fare male (si veda anche l’articolo La corsa fa male?), se praticato male.
L’esempio più eclatante è quello di Jim Fixx, l’inventore del jogging, che soleva vantarsi della sua alimentazione contro ogni regola e infatti è morto d’infarto correndo. Morale: la corsa senza un buon stile di vita non può preservare dall’infarto, né chi corre può presuntuosamente asserire di avere un cuore sano solo perché ha superato la visita sportiva, ma magari non conosce nemmeno i suoi valori di colesterolo, di trigliceridi e si vanta della sua ciccia o del fatto che “fuma e beve e si sente benissimo”. Chi muore durante la maratona è spesso nelle condizioni di Fixx: fa sport, magari tanto, ma ha un cattivo stile di vita e si becca l’infarto.
Al sedentario che ha paura di fare sport perché basta una corsettina di cento metri a fargli sentire il cuore in gola, l’articolo insegnerà che chi muore di sport è già un individuo malato. I sedentari che si ritengono sani possono tranquillamente fare sport.
* Displasia aritmogena del ventricolo destro – Nota anche come cardiomiopatia aritmogena, è una malattia cardiaca responsabile di morte improvvisa in giovani sottoposti a stress fisici. Nel 2000 un’equipe di ricercatori padovani guidati da N. Tiso ha scoperto l’origine genetica della malattia: il responsabile è il gene (Ardv2) di un recettore delle cellule cardiache che controlla la concentrazione del calcio durante il lavoro cardiaco. Il test (il cui costo si aggira sul milione e mezzo) potrà essere applicato con successo ai membri di famiglie in cui si sia già verificata (o sia stata semplicemente sospettata) la patologia.
** Sindrome del QT lungo – È una rara aritmia cardiaca che può essere fatale in soggetti giovani. La causa della sindrome del QT lungo sembra essere di natura genetica. P. J. Schwartz ha scoperto (2000) che il 35% delle morti in culla (una sindrome che colpisce un neonato su 1.000 ed è la prima causa di mortalità nei Paesi occidentali) è correlabile con la sindrome del QT lungo
COMMENTI E MAIL
Cuore d’atleta
Ieri sera ho avuto una discussione in merito al cuore dell’atleta con un mio zio che fa il cardiologo. Il nocciolo della discussione era proprio se l’attività sportiva a livelli medio-alti (comunque non agonistici) portasse o no dei benefici alla salute cardiovascolare della persona.
Mio zio ha introdotto un argomento che conoscevo poco, l’ipertrofia del cuore dello sportivo, e gli ha abbinato connotazioni negative che non conoscevo per niente come “cuore fibroso”, “ispessimento patologico delle pareti a cardiache”, “danni valvolari” e “miocardie possibili” e “laminazioni dell’aorta”.
Gli ho fatto vedere il tuo sito, ma, pur non smentendoti, lui ritiene che la cosa più salutare da consigliare al paziente sano siano i venti, trenta minuti di passeggiata giornalieri. Secondo te, è possibile che lo sport arrivi a danneggiare a tal punto un cuore?
La cosa più grave che un medico può fare è mediare i dati scientifici reali con la propria personalità.
Così il dietologo con qualche chilo di troppo ci dice che il sovrappeso può essere salutare, lo psicologo con problemi personali ci dice che tutti sono stressati e ansiosi e il cardiologo sedentario ci vende la panzana che 20′ di passeggiata al giorno sono il massimo per il cuore. Ogni cardiologo dovrebbe sapere che l’ipertrofia da sport non ha nulla di patologico. Ti riporto un passo di Luigi Colombo, noto cardiologo sportivo:
Il cuore, in soggetti ben allenati, assume le caratteristiche del “cuore d’atleta” con adattamenti (maggior gettata cardiaca, bradicardia ecc.) che gli permettono di essere adeguato allo sforzo richiesto. Negli ultimi anni si è perfino potuto vedere un adattamento diverso del cuore in chi pratica sport di potenza (ipertrofia cardiaca concentrica) rispetto ai praticanti sport di resistenza (ipertrofia cardiaca eccentrica): studi ormai storici in questo settore hanno definito i limiti di questi adattamenti fisiologici rispetto alle miocardiopatie ipertrofiche o dilatative, con grande utilità nella diagnostica cardiaca.
Ancora una volta rilevo però che certe tesi di “esperti” possono essere smontate con il banale ragionamento del Ma se…
Consideriamo tutti gli sportivi professionisti (quindi che ci danno dentro di brutto); poiché ogni anno fanno la visita di idoneità, SE fossero riscontrabili vizi valvolari, ispessimenti patologici delle pareti cardiache ecc. (se cioè tuo zio avesse ragione) ALLORA moltissimi di loro sarebbero fermati, cosa che non si verifica. Il fatto poi che a 50 anni un ex campione muoia di infarto è sempre correlabile al motivo che, smettendo di fare sport (un concetto che continuiamo a ripetere: i benefici dello sport si esauriscono in pochi mesi), ha assunto uno stile di vita disastroso.
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