Gli ftalati (anche esteri ftalici) sono sostanze chimiche ottenute sinteticamente attraverso l’esterificazione dell’acido ftalico (l’esterificazione è un processo per cui da un alcol e da un acido si ottiene una sostanza detta estere). Generalmente gli ftalati sono scarsamente solubili in acqua e scarsamente volatili; è invece alta la loro solubilità nei grassi.
A seconda degli alcol che sono utilizzati nel processo di esterificazione si ottengono sostanze con proprietà diverse.
Gli utilizzi degli ftalati sono numerosi, vengono infatti usati da moltissimi anni come agenti filmogeni, solventi, denaturanti, ma soprattutto come plastificanti, ovvero come sostanze che, aggiunte alla plastica, la rendono maggiormente flessibile, maneggevole e resiliente (la resilienza è la capacità di un materiale di non andare incontro a rotture in caso di urti).
La stragrande maggioranza degli ftalati che vengono prodotti sono utilizzati per la plastificazione del PVC (cloruro di polivinile), la sostanza plastica più utilizzata nel mondo, i cui campi di applicazione sono i più variegati, si va infatti dal settore automobilistico a quello edilizio, dall’industria di prodotti medicali a quella dei giocattoli e di articoli per l’infanzia; se si considera poi che gli ftalati sono utilizzati con altri scopi anche in altri settori industriali (in primis quello cosmetico) ben si comprende quanto diffusa sia la presenza di queste sostanze nella nostra vita quotidiana.
Ftalati e salute umana
Negli ultimi anni i sospetti su presunti effetti dannosi degli ftalati sulla salute umana sono stati spesso portati all’attenzione dai media, un po’ com’è successo nel caso del bisfenolo A. Come sempre accade in questioni che smuovono interessi di notevole portata, le posizioni sul problema sono contrapposte; c’è chi chiede il bando degli ftalati e chi invece ne sostiene l’utilità e l’innocuità. Certo è che è da circa un decennio che tali sostanze sono chiacchierae e non sono poche le organizzazioni e le associazioni che ne chiedono il bando… Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza sulla questione.
Come detto, esistono diversi tipi di ftalati; di seguito riportiamo i più comuni:
- DEHP
- DIDP
- DINP
- BBzP.
Il DEHP (di-2-etilesilftalato) noto anche come DOP, diottilftalato, o diisoottilftalato, è l’estere dell’acido ftalico e del 2-etilesanolo. Come nel caso di altri ftalati, il DEHP viene utilizzato soprattutto come plastificante in prodotti di PVC.
I principali sospetti su questo ftalato sono relativi alla sua potenzialità come distruttore del sistema endocrino umano; effetti dannosi del DEHP a livello di sistema endocrino sono stati osservati sperimentalmente su cavie di laboratorio.
Nell’Unione Europea vi sono da alcuni anni diverse restrizioni relativamente al DEHP; il suo utilizzo infatti non è consentito, a concentrazioni superiori allo 0,1%, né nei giocattoli né negli articoli destinati all’infanzia; il motivo di tale restrizione è dovuto al pericolo di esposizione che può derivare dal masticare o succhiare per lunghi periodi di tempo tali oggetti. Tale restrizione vale anche per altri tipi di ftalati, nella fattispecie il DBP (ftalato di dibutile) e il BBP (ftalato di butilbenzile).
L’utilizzo di DEHP, di DBP e BBP non è inoltre consentito nei prodotti cosmetici in quanto tali ftalati vengono ritenuti tossici per la riproduzione (sarebbero responsabili di oligospermia nei maschi e di disfunzioni ovariche nelle femmine).
Per quanto riguarda i materiali che vengono a contatto con i prodotti alimentari, esistono alcune restrizioni relative al DEHP; esso può essere utilizzato, in modo sicuro e legale, nei materiali non grassi che sono a contatto con alimenti in modo ripetitivo. L’utilizzo di DEHP è proibito per le applicazioni monouso (per esempio cappucci o guarnizioni).
Si deve inoltre considerare la presenza di un certo rischio a livello ambientale; è infatti possibile che i prodotti plastici contenenti ftalati che vengono conferiti nelle discariche potrebbero rilasciare, a medio-lungo termine, i plastificanti usati.
Per quanto riguarda invece il DIDP e il DINP, altri due ftalati ampiamente utilizzati come plastificanti, l’Unione Europea ritiene che essi non possano essere classificati come sostanze pericolose e pertanto essi possono venire utilizzati senza che vi siano rischi nei confronti della salute o dell’ambiente.
Le restrizioni sugli ftalati non sono comunque solo materia europea; infatti in moltissimi Paesi del mondo (Canada e Stati Uniti sono fra questi) esistono norme di legge che limitano l’utilizzo di tali sostanze; gli studi che vengono effettuati su di esse sono numerosi e, a onor del vero, mai particolarmente rassicuranti. Per quanto le informazioni scientifiche relative al legame fra esposizione a ftalati e diverse patologie, generalmente relative al sistema endocrino e a quello nervoso, siano ancora limitate, i dati che sembrano emergere dai vari studi suggeriscono una certa prudenza nel loro utilizzo. Rimane pertanto auspicabile che gli organi preposti ai controlli continuino nel loro lavoro di ricerca per stabilire con certezza se le attuali restrizioni relative agli ftalati sono sufficienti oppure se è più opportuno prendere decisioni maggiormente drastiche. Il fatto però che molti Paesi, in anni recenti, si siano mossi in controtendenza a determinati studi che assolvevano gli ftalati deve comunque indurci a riflettere; nel maggio 2011, per esempio, all’Assemblea Nazionale francese è passata una proposta di legge che propone di mettere al bando ftalati, parabeni e alchilfenoli; tra l’altro, per la cronaca, tale proposta di legge (presentata dal deputato Yvan Lachaud) è in netto contrasto con la posizione del governo francese. Del resto, anche nel caso del bisfenolo A, nonostante le rassicurazioni dell’EFSA (European Food Safety Authority, Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), le decisioni prese dai diversi Paesi europei hanno sposato la linea della prudenza limitando drasticamente, se non addirittura bandendo, l’utilizzo di tale sostanza.

Gli ftalati sono una famiglia di composti chimici impiegati nell’industria delle materie plastiche come agenti plastificanti
Ma gli ftalati fanno ingrassare?
Il perché di questo titolo è dovuto al clamore suscitato, anche nel nostro Paese, da una notizia riportata da tutti i principali media: lavarsi troppo spesso potrebbe farci ingrassare. La ricerca sulla quale si fonda questo clamoroso annuncio mediatico è stata condotta da Philip Landrigan, un ricercatore del Mount Sinai Medical Center di New York.
Ma perché una bella lavata di capo dovrebbe provocare un aumento ponderale? Ciò accadrebbe perché molti prodotti per l’igiene personale, come per esempio gli shampoo, contengono ftalati. Che gli ftalati non siano il massimo, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, ci sta benissimo, ma in questo caso la questione è molto diversa. La ricerca di Landrigan si è limitata a rilevare che, in un campione di 330 donne, quelle più in sovrappeso avevano anche una quantità maggiore di ftalati nelle urine; insomma, di clamoroso c’è ben poco, siamo soltano di fronte a una semplice correlazione. I giornalisti si sono buttati a capofitto nella ricerca del miracolo dello scoop; parliamo di “miracolo” perché anche in questo caso non è stato fatto il minimo sforzo per cercare tutte le possibili cause di tale correlazione; ci si è limitati soltanto a dare in pasto alla gente l’aspetto più sensazionalistico dello studio. Eppure la spiegazione è probabilmente più semplice: gli ftalati, come abbiamo visto, sono molto solubili nei grassi e poco nell’acqua, ragion per cui chi ha maggior grasso corporeo tende ad accumularli con grave danno poi degli organi che devono smaltirli.
Non si ingrassa quindi perché si assorbono ftalati, ma probabilmente se ne assorbono di più se si hanno dei chili di troppo. Insomma, i capelli possiamo lavarceli spesso, magari bisogna mangiare un po’ meno…