La sazietà è caratterizzata principalmente da tre fattori: il tempo di digestione del cibo, il riempimento gastrico e l’appetibilità di ciò che mangiamo.
Mentre i primi due sono abbastanza oggettivi (dato un individuo), il terzo è pesantemente condizionato da fattori psicologici di varia natura. Ognuno di noi ha cibi che preferisce più di altri (sino al classico “ne vado matto”) e questa preferenza in molti soggetti non è affatto costante nel tempo (le cosiddette “voglie”). Risulta pertanto difficile impostare un discorso generale sulla sazietà. Più facile è sicuramente studiare i singoli fattori e verificarne il peso sul discorso generale nelle varie situazioni.
Dal punto di vista psicologico è sicuramente molto importante la sazietà per assenza, cioè la sazietà indotta psicologicamente dalla mancanza di cibo. Sembra paradossale visto che la sazietà dovrebbe basarsi proprio su un’assunzione cospicua di alimenti, ma ci sono molti elementi che suffragano l’ipotesi che, in determinate circostanze, è la presenza/assenza di cibo che aumenta o diminuisce lo stimolo a mangiare.
È abbastanza evidente che il semplice stimolo fisiologico a mangiare (eating stimulus fisiologico) comporta comunque uno sforzo di approvvigionamento del cibo. Nella società moderna tale sforzo è veramente molto limitato, spesso del tutto nullo, favorito da circostanze al contorno (per esempio il fatto che non siamo noi che facciamo la spesa, ma un nostro solerte familiare che ci fa trovare sempre tutto). Esistono però casi in cui tale approvvigionamento non è affatto scontato, per esempio: single superimpegnati che non trovano mai il tempo di fare scorte alimentari decenti; problemi economici che di consigliano di differire spese di grandi dimensioni; preferenze molto ristrette che si scontrano con la disponibilità di cibi nei punti vendita.
Queste situazioni sono però da ritenersi eccezionali. Più interessanti le tre principali applicazioni del concetto di sazietà per assenza.
L’abolizione
Se ci accorgiamo che un determinato alimento è per noi molto appetibile, abbiamo due strategie: o pianifichiamo di assumerne una quantità irrisoria oppure ne evitiamo la disponibilità.
Banalmente,
per tutti coloro che non riescono a resistere alla Nutella: non compratela!
Moltissimi propositi alimentari falliscono perché c’è disponibilità di cibi troppo calorici che si suppone di saper gestire. L’olio per esempio è un alimento molto calorico, ma che tutti sanno gestire benissimo: non è particolarmente appetibile e, se il soggetto è deciso a seguire un regime ipocalorico, non c’è nessun problema a usarne poco. Altri alimenti invece mettono a dura prova la scarsa volontà di chi inizia a farsi un’educazione alimentare: dolci, cioccolato, patatine, popcorn ecc. Tutte calorie in più che dovrebbero rimaner chiuse nell’armadio della cucina, ma che ne escono spesso prendendosi la loro rivincita su chi le aveva declassate.
La visione
La cosa peggiore di un pranzo familiare è la consapevolezza di quanto cibo ci sia a disposizione. Preparare tutti gli antipasti, portare in tavola una biella enorme di pasta, sfoggiare una gigantesca crostata sono il miglior modo di mangiare tanto. Un modo più salutistico sarebbe quello di imitare il ristorante preparando in cucina il piatto per l’ospite. Tradizione vuole invece che si mostri la ricchezza del pranzo, all’insegna dell’ognuno si serva, tanto ce n’è. Niente di più sbagliato. Non a caso al ristorante si mangia sempre meno che da parenti e/o amici. È difficilissimo cambiare abitudini centenarie in cui il cibo è visto come sintomo di ricchezza e di agio, ma provateci. “Okay, accetto l’invito, ma in tavola si porta un solo piatto per volta e non si fanno i bis”.
Se vi chiedono il motivo, spiegate cosa si intende per “sazietà per assenza”.

La sazietà per assenza è la sazietà indotta psicologicamente dalla mancanza di cibo
La confezione
L’ultimo caso di sazietà per assenza discende dal precedente e viene attuato involontariamente quando si compra una confezione troppo grande per essere finita in una sola volta.
In effetti, le confezioni monodose sono interessanti perché limitano automaticamente la fruizione del cibo. Così la confezione famiglia dovrebbe assicurare che ogni componente non assuma una quantità eccessiva di calorie.
Ovviamente si deve tarare la confezione sui propri fabbisogni, così che una confezione da 150 g, corretta per un uomo di 70 kg, può essere esagerata per una donna di 45.
Facciamo notare che il problema non si pone quando si avanza gran parte della confezione, ma quando se ne avanza una piccola quantità.
Se pianifico di inserire nei miei pasti dosi da 100 g di ricotta e acquisto una confezione da 125 g mi trovo nella situazione della “fame per presenza” (concetto contrario alla sazietà per assenza) perché quei 25 g sono veramente poca cosa e sono in futuro potenzialmente inservibili: finisco la confezione. Ma se acquisto una confezione da 250 non posso “appellarmi” alla fame per presenza se esaurisco la confezione: infatti basta utilizzarla per 3 volte (85 g per volta) e non ci sono “sprechi”. Se cedo alla tentazione non posso dare la colpa alla confezione… Del resto, si acquista la pasta a chilogrammi, ma poi preparare un piatto con 70 g o 120 dipende solo da noi! Quindi:
scegliete confezioni che non lascino piccoli scarti.