Cosa c’entra il formato della pasta con la sazietà? Più di quanto non si sia portati a credere. Lunga, corta, fresca, secca, all’uovo o ripiena, la pasta alimentare è senza ombra di dubbio il simbolo della cucina italiana. Tra le numerose varietà la più importante è certamente la pasta secca, che copre una quota pari all’80% dei consumi complessivi di pasta. La pasta secca in Italia è tradizionalmente confezionata con il prodotto della macinazione del grano duro (Triticum durum, la semola), mentre il grano tenero (Triticum vulgare), ossia l’altra importante specie di frumento, viene impiegato per la farina e, conseguentemente, per la confezione casalinga della pasta all’uovo o del pane. Le altre paste alimentari sono quelle fresche, all’uovo, speciali (prodotte esclusivamente con grano duro e altri ingredienti, mescolati all’impasto o come ripieno) e “dietetiche” (per esempio senza glutine, proteiche o integrali).
La pasta è un alimento nutrizionalmente molto interessante per l’elevato contenuto proteico (10-12%) e di amido (maggiore del 70%) con un apporto calorico di circa 350 kcal/100 g. Non ha un alto contenuto vitaminico e lo spettro minerale non è molto bilanciato. Non contiene molti grassi, che però vengono normalmente aggiunti dal sugo che accompagna la pasta.
Come scegliere una pasta di qualità
Per riconoscere una pasta di qualità bisogna valutare diverse caratteristiche tipiche di questo alimento. Le variabili determinanti da prendere in considerazione sono prima di tutto la consistenza, cioè la capacità di una pasta cotta in modo ottimale di resistere facilmente alla pressione, riacquistando poi la sua forma iniziale, presentandosi soda ed elastica, l’omogeneità della cottura (certi tipi di pasta prodotti con semole con una componente mediocre di glutine risultano inevitabilmente crude all’interno e scotte all’esterno) e la tenuta di cottura, valido sistema per verificarne la qualità prima dell’aggiunta dei condimenti, poiché alcuni difetti tendono ad aumentare proprio col passare del tempo e a volte bastano pochi minuti dopo la scolatura per renderla immangiabile.
Da valutare anche la collosità, tipico difetto in parte dovuto al tipo di ingredienti utilizzati (generalmente farina miscelata a semola), in parte alle tecniche di produzione non proprio ottimali e il flavour, caratteristica relativa soprattutto alla percezione delle componenti aromatiche, gustative e odorose e quindi all’esperienza sensoriale più o meno gradevole, dunque soggettiva, che si ha in definitiva della pasta.
Un altro aspetto da non sottovalutare nella scelta della pasta è il cosiddetto potere saziante, variabile determinante nel controllo dello stimolo della fame, uno dei maggiori problemi di tutte le diete.
Il concetto di sazietà dei cibi, insieme a quello dell’appetibilità, ha un’elevata importanza in dietetica, pari a quella legata ai valori calorici o alla ripartizione dei macronutrienti. La sazietà può essere espressa tramite un valore numerico, ossia l’indice di sazietà (Albanesi, 1999), definito come “la sazietà espressa in una scala da 1 a 10 che il soggetto prova quando assume la quantità standard (5 kcal per kg di peso) dell’alimento sotto esame dopo trenta minuti dall’assunzione”.
Solitamente si tende a valutare soltanto l’apporto calorico dei cibi trascurando l’indice di sazietà, finendo per ritenere sazianti, e pertanto adatti a essere introdotti in una dieta, alimenti dotati in realtà di indici di sazietà molto bassi, mentre si tende ad escludere cibi con indici medio-alti. I fattori che incidono maggiormente sulla sazietà sono il contenuto di fibre (riempiono ma non apportano calorie), la consistenza, il rapporto tra peso e calorie (ovvero la densità calorica) e la velocità di digestione.
Situazione più complessa quando consideriamo un piatto cucinato e non solo singoli alimenti, bensì un insieme di singoli alimenti che hanno subito variazioni più o meno rilevanti a causa della cottura. In questo caso infatti gli indici di sazietà dei vari tipi di alimento non si combinano in modo lineare, dando origine a combinazioni in grado di esaltare la sazietà oppure di deprimerla. Quello che è importante capire è che la cottura trasforma il potere di sazietà dei cibi, legando o perdendo acqua. Nel caso delle verdure o della ricotta, usata per sostituire il burro o l’olio, si ha una perdita di acqua per cui uno stesso piatto alla fine risulta come potere saziante diverso a seconda che si scelga una verdura piuttosto che un’altra o un tipo di ricotta piuttosto che un altro. In un alimento come la pasta il potere saziante è direttamente connesso al potere legante poiché la sua sazietà sarà tanto maggiore quanto più legherà con l’acqua durante la cottura.

Lunga, corta, fresca, secca, all’uovo o ripiena, la pasta alimentare è senza ombra di dubbio il simbolo della cucina italiana
Formato della pasta – Quale sazia di più?
Dal momento che esistono numerosi formati di pasta ci si può chiedere quale sia il formato che abbia il migliore indice di sazietà e che quindi abbia migliori capacità di legare con l’acqua. Per rispondere a tale quesito abbiamo effettuato un esperimento nel quale sono stati selezionati i 10 formati più diffusi a livello nazionale, appartenenti alla stessa marca (Barilla nello specifico, tra le aziende con il maggior numero di formati in circolazione) e per ognuno di essi è stato calcolato l’indice di cottura. A partire da 100 g di ogni formato si è misurato l’aumento di peso dopo la cottura, considerando valida una cottura al dente per cui la pasta fosse comunque mangiabile. I risultati sono riportati nella seguente tabella:
FORMATO DELLA PASTA | Peso iniziale (g) | Peso finale (g) | |
1 | Spaghetti n° 5 | 100 | 252 |
2 | Spaghetti n° 3 | 100 | 245 |
3 | Bucatini n° 9 | 100 | 240 |
4 | Farfalle | 100 | 228 |
5 | Rigatoni | 100 | 224 |
6 | Pipe rigate | 100 | 217 |
7 | Fusilli | 100 | 213 |
8 | Penne rigate | 100 | 212 |
9 | Tortiglioni | 100 | 210 |
10 | Conchiglie rigate | 100 | 209 |
Come si può notare sono le “paste lunghe” a uscirne vincitrici e di gran lunga. Bucatini e Spaghetti (n° 3 e 5) possiedono infatti un maggiore potere di sazietà rispetto a tutte le altre, arrivando ad avere aumenti finali di peso ben 2 volte e mezzo rispetto a quelli iniziali.
Le paste corte, al contrario, sembrano legare meno con l’acqua, raggiungendo valori di poco superiori al doppio del peso iniziale. Interessante notare che il tipo di pasta migliore sotto questo aspetto, ossia il classico spaghetto n° 5, sia probabilmente anche quello tradizionalmente e storicamente più affermato in Italia e all’estero, consacrandosi dunque come valido piatto anche in un’ottica salutistica.

Qual è il formato di pasta che ha il migliore indice di sazietà?
Note sulla cottura
I veri intenditori della pasta sostengono fermamente che, per poterla giudicare appieno, bisogna farla cuocere al dente, assaggiandola senza l’aggiunta di condimenti: solo così la si può assaporare, dandone un giudizio basato solo sui suoi requisiti naturali.
Condizione essenziale per poter effettuare nel migliore dei modi questa “prova d’assaggio” è che la cottura della pasta sia ottimale; una corretta cottura, d’altronde, è alla base di qualunque ricetta di pasta ben riuscita.
Per ogni 100 g di pasta è necessario un litro d’acqua ed è per questo che bisogna possedere pentole molto capienti, poiché le pentole piccole hanno il difetto di rendere la pasta collosa, facendola così attaccare durante la cottura.
Determinante è anche il rapporto fra il sale e l’acqua: per ogni litro d’acqua sono necessari 10 g di sale grosso, da ridursi proporzionalmente se per la pasta è previsto un condimento saporito. L’acqua andrebbe salata sempre al momento dell’ebollizione e non prima, altrimenti il tempo di attesa si allunga e durante la cottura è consigliabile mescolare ogni tanto fino a quando si avvicina il termine del tempo di cottura (indicato solitamente sulle confezioni).
Occorre poi assaggiare la pasta per poterla scolare “al dente” e verificare se la cottura è ottimale, ricordando che la pasta dovrebbe presentarsi tenace ed elastica.
Esistono numerosi formati di pasta in commercio, ma vi è tuttavia una distinzione fondamentale: quella tra formati lisci e rigati, nonché naturalmente tra formati di pasta lunga e corta. La pasta rigata non risulta mai omogenea dopo la cottura proprio a causa della sua struttura; se risulta perciò al dente la parte più esterna, le “righe”, meno spesse, sono più cotte e causano una certa perdita di amido nell’acqua; andrebbero dunque preferiti i formati “lisci”.