Le patatine fritte sono un prodotto molto popolare tra i giovanissimi; l’abitudine di sgranocchiarle come “merenda” o rompidigiuno è sicuramente una scelta incompatibile con una corretta alimentazione. Infatti, le patatine fritte sono uno tra gli alimenti più calorici (assieme a cioccolato e alcuni esempi di frutta secca), apportando mediamente circa 500-530 kcal per 100 g.
Oltre all’apporto calorico, troppo elevato in confronto al senso di sazietà del prodotto (è facilissimo consumare un pacchetto di patatine fritte da 200 g, più di 1.000 kcal!), il problema più importante è legato a due aspetti correlati: gli oli utilizzati per friggere e il processo stesso della frittura.
Per quanto riguarda il primo aspetto, quasi tutti i produttori dichiarano l’uso di oli vegetali di seconda scelta. Per quanto riguarda il secondo aspetto (la frittura), è legato all’allarme lanciato alcuni anni fa da ricercatori di Stoccolma che hanno rilevato la presenza di acrilamide nei prodotti fritti o da forno.
Pur osservando che le patatine non sono gli unici prodotti incriminati, si può dire che limitandone il consumo nell’ambito di un’alimentazione ipocalorica, il rischio di esposizione all’acrilamide (sostanza cancerogena nei ratti, ma la cui pericolosità sull’uomo è ancora da dimostrare) è veramente limitato. Nella scelta delle patatine, la dieta italiana sottolinea quattro importanti fattori: olio utilizzato per friggere, modalità di frittura, apporto calorico e altri ingredienti.
Patatine fritte: olio e modalità di frittura
Olio utilizzato per friggere – Prediligere solo i prodotti che esplicitano l’olio usato per friggere (oliva, arachide, palma e girasole che, se raffinato, ha almeno il pregio di subire un processo di lavorazione lineare; ricordiamo che l’olio di girasole non raffinato ha un basso punto di fumo e pertanto non è indicato per friggere). Attenzione anche al fatto che sulla confezione può comparire “con olio extravergine d’oliva”, salvo poi scoprire nell’etichetta nutrizionale che il contenuto di tale olio è minimo ed è prioritario un altro tipo di olio. Da evitare i prodotti in cui si è usato l’olio di colza.
Modalità di frittura – Anche se dalla modalità di frittura, in particolare dalla temperatura raggiunta dall’olio e dal numero di volte che l’olio viene riutilizzato, dipende la salubrità del procedimento, risulta veramente difficile valutare questo aspetto. Infatti, non si hanno a disposizione dettagli tecnici sui processi industriali della preparazione delle patatine fritte, almeno finché qualche produttore più attento non li espliciti sulla confezione.
Apporto calorico – Come già rilevato, le patatine fritte sono molto caloriche, poco sazianti e quindi un alimento in contrasto con la ricerca di piatti ASI (Appetibili, Sazianti, Ipocalorici) suggerita dalla dieta italiana. L’apporto calorico è dato dalla quantità di olio che è assorbito dalle sfoglie di patate in fase di frittura. Esistono anche proposte meno caloriche di quelle classiche che apportano circa 500-530 kcal per 100 g, che riducono quindi anche la percentuale di grassi, ma delle quali è necessario valutare anche gli altri ingredienti. Da notare inoltre che molte proposte non danno informazioni nutrizionali.
Altri ingredienti – Per cucinare le patatine fritte, gli unici ingredienti necessari sono patate, olio e sale. Tuttavia molti prodotti includono anche una serie di altri ingredienti, alcuni ammissibili (aromi alla salvia, rosmarino ecc.), altri opinabili, ma genuini, (farina di frumento al posto di patate e fecola di patate) e altri ancora decisamente da censurare, come il glutammato di sodio per esaltare il gusto oppure oli/grassi vegetali idrogenati.
Sostituiamo le patatine fritte?
Visti i problemi salutistici sull’uso delle patatine fritte, è possibile cercare un’alternativa nelle confezioni, sempre più comuni, di frutta essiccata. Una confezione di mele essiccate a rondelle (come quella Melinda) è appetibile ma è meno calorica e con ingredienti più sani.

Le patatine fritte in busta sono state prodotte per la prima volta nel Nord America già a fine Ottocento
Cosa ne pensa la dieta italiana
La dieta italiana sconsiglia il consumo di patatine fritte con grassi idrogenati e additivi non ammessi (come il glutammato di sodio), mentre suggerisce un uso saltuario di quelle con oli di seconda scelta; migliore sarebbe l’impiego di olio extravergine d’oliva, anche se nulla si sa sul processo di frittura.
Vista la sua tipologia, questo prodotto difficilmente trova spazio in una dieta ipocalorica o in un regime dietetico in cui l’apporto quotidiano sia particolarmente limitato. In queste situazioni, conviene scegliere proposte con calorie inferiori a 500 kcal/100 g ed evitare quelle senza etichetta nutrizionale.
Patatine fritte: il mercato
Rischio salutistico della categoria: alto.
Il panorama delle patatine fritte è abbastanza deludente: non solo si tratta di una tipologia di prodotto di per sé difficilmente compatibile con un consumo abituale in un’alimentazione ipocalorica e sana, ma anche le offerte sul mercato hanno notevoli limiti e difetti. La quasi totalità prevede l’uso di oli vegetali raffinati di seconda scelta, per non parlare di quei prodotti che contengono anche additivi sospetti come il glutammato monosodico.
Attenzione alle kcal riportate sulla confezione, talvolta sono riportate le kcal (circa 120) per 25 g di prodotto (un quarto o un ottavo di sacchetto), quindi si può essere tratti in inganno perché, se si legge solo il prospetto, si può pensare che l’apporto calorico sia solo di 120 kcal!
Nel desolante panorama non mancano nemmeno casi di patatine fritte “biologiche” che invece di essere fritte sono cotte al forno e che prevedono anche ingredienti estranei alla ricetta tradizionale, fibra di frumento, amido e farina. Peccato però che impieghino spesso oli vegetali di seconda scelta.