Il latte in polvere è un prodotto alimentare che deriva dal latte vaccino; viene ricavato attraverso un processo di disidratazione a mezzo del calore. È opportuno premettere che oggetto di questo articolo il latte in polvere per adulti e non il noto alimento per l’infanzia. Tra il latte in polvere per adulti e quello per bambini esistono infatti notevoli differenze; entrambi i latti sono liofilizzati, ma il latte in polvere per gli adulti è di fatto un latte privato della sua acqua, mentre quello destinato agli infanti è addizionato di numerose altre sostanze (fibre alimentari, sali minerali, aminoacidi, maltodestrine, vitamine, emulsionanti ecc.) che rendono il latte in polvere per bambini poco gradevole per il gusto di una persona adulta.
In commercio, il latte in polvere è disponibile in tre versioni: intero, parzialmente scremato e scremato. Le differenze fra i tre tipi di latte sono legate al contenuto lipidico, più alto in quello intero, inferiore negli altri due.
Il latte in polvere può essere impiegato sia per usi industriali e artigianali (come ingrediente di gelati e di altri prodotti dell’industria dolciaria) sia per uso domestico (come ingrediente di gelati e dolci oppure, ricostituito, come normale bevanda).
Relativamente all’uso domestico, il latte in polvere ha alcuni vantaggi; se utilizzato come ingrediente è in grado di ammorbidire e favorire la cottura dei prodotti; consente inoltre una migliore gestione dell’impasto evitando i problemi relativi a un amalgama eccessivamente fluido. Se utilizzato come bevanda, il latte in polvere ha dalla sua scadenze molto più lunghe del latte liquido (la durata del latte in polvere va dai 360 ai 540 giorni, occupa poco spazio, è possibile gestire molto bene le quantità da consumare evitando gli sprechi sia la sua concentrazione.
Tecniche di produzione
Il latte in polvere può essere prodotto mediante due tipi di tecnica; la prima è il procedimento Hatmaker, noto anche come tecnica roller-dry, mentre la seconda è la tecnica spray-dry.
Nel procedimento Hatmaker il latte pastorizzato viene fatto passare attraverso due cilindri che ruotano in senso opposto e che sono riscaldati a una temperatura che varia dai 130 ai 150 °C; l’interno del cilindro può raggiungere la temperatura di circa 140 °C. Il latte all’interno dei cilindri, sottoposto a questa temperatura viene privato, tramite evaporazione, dell’acqua nel giro di pochissimo tempo.
Dopo che l’acqua è evaporata, sui cilindri rimane la sostanza secca che, distaccata da essi tramite degli appositi coltelli raschianti, finisce per depositarsi sul fondo. Il latte in polvere così ricavato assume un colore giallognolo che viene impiegato frequentemente nella lavorazione di salumi e cioccolata.
Con la tecnica spray-dry, il latte pastorizzato viene inizialmente sottoposto a un trattamento termico di breve durata e in seguito essiccato e polverizzato; praticamente il latte viene iniettato in un condotto che termina in una camera in cui la temperatura raggiunge i 150 °C; qui il latte perde tutta la parte acquosa. Il latte in polvere prodotto con questa tecnica è caratterizzato da una migliore idrosolubilità rispetto a quello prodotto con la tecnica Hatmaker.
Il latte in polvere presenta un problema di solubilità; per risolverlo è necessario sottoporlo a un procedimento detto di istantaneizzazione; grazie a questo processo il latte in polvere acquista una maggiore idrosolubilità.
Latte intero, parzialmente scremato, scremato in polvere
Come detto nel paragrafo iniziale, in commercio sono presenti tre tipologie di latte in polvere: intero, parzialmente scremato e magro. La legislazione attualmente vigente prevede che per il latte intero il contenuto lipidico sia intorno al 26%, per quello parzialmente scremato dal 13 al 17% e per quello magro non inferiore allo 0,5%
La ricostituzione del latte polvere deve essere effettuata con acqua non eccessivamente calda nella quale la polvere va inserita a pioggia allo scopo di evitare la formazione di grumi. Sono previste le seguenti combinazioni:
- latte intero: 100 g di polvere e 900 g di acqua
- latte parzialmente scremato: 100 g di polvere e 900 g di acqua
- latte scremato: 120 g di polvere e 880 g di acqua.

In commercio, il latte in polvere è disponibile in tre versioni: intero, parzialmente scremato e scremato
Latte in polvere: sì o no?
Il latte in polvere è un ingrediente un po’ chiacchierato, soprattutto in Internet dove si trovano articoli decisamente allarmanti. Ma qual è il motivo dell’allarmismo? Secondo alcuni scienziati che vogliono assolvere completamente il colesterolo nelle patologie cardiovascolari, è il trattamento termico di quest’ultimo (latte e uova in polvere, carni e grassi fritti o cotti ad alta temperatura ecc.) che produrrebbe le sostanze tossiche (ossisteroli, derivanti dall’ossidazione del colesterolo) alla base del rischio cardiovascolare (la nostra posizione è più moderata: il colesterolo conta, anche se non tantissimo come vorrebbe farci credere una medicina convenzionale rimasta a venti anni fa: ciò che conta è l’indice di rischio cardiovascolare, cioè il rapporto fra colesterolo totale e colesterolo buono, quello HDL).
Si tratta quindi di indagare questa ipotesi, premettendo che la medicina ufficiale non è ancora arrivata a una conclusione definitiva. Fra le ricerche più interessanti, quella di Meynier A., Herminier J.,Demaison-Meloche J.,Ginies C., Grandgirard A., Demaison L. (British Journal of Nutrition, May 2002, vol. 87, no. 5, pp. 447-458(12)) mostra che una dieta in cui il colesterolo viene sostituito da una miscela di ossisteroli riduce lo spasmo vasocostrittivo tipico di molte patologie coronariche, ma in effetti aumenta la probabilità della formazione di placche ateromatose.
I dati numerici – Se qualitativamente il discorso sugli ossisteroli regge, quantitativamente no. Le misurazioni ormai affidabili danno quantità veramente modeste. Per esempio (Przygonski K, Jelen H, Wasowicz E. – Determination of cholesterol oxidation products in milk powder and infant formulas by gas chromatography and mass spectrometry, Central Laboratory for Food Concentrates, Poznan, Poland; Nahrung. 2000 Apr;44(2):122-5) danno da 0,04 a 4,20 ppm (parti per milione) della frazione lipidica estratta dal prodotto. Una quantità veramente modesta che non può essere comparata con quella fornita ai ratti sottoposti a esperimenti sull’argomento (per esempio in quella di Meynier e coll. sopraccitata dove ai ratti si somministravano ben 4 g di ossisteroli!).
5 parti per milione significa che se noi introduciamo 100 mg di colesterolo al giorno, ammesso che sia tutto derivato da cotture ad alta temperatura dei cibi, assumeremmo 0,5 microgrammi di ossisteroli. Chi pensa che possano essere “micidiali” dovrebbe analizzare l’acqua che beve!
Gli ossisteroli creano stress ossidativo? Secondo alcune ricerche no (Y.C. O’Callaghan, J.A. Woods, N.M. O’Brien, Comparative study of the cytotoxicity and apoptosis-inducing potential of commonly occurring oxysterols; Cell Biology and Toxicology 17 (2): 127-137, 2001), secondo altre (Marc S. Penn, Mei-Zhen Cui, Allison L. Winokur, John Bethea, Thomas A. Hamilton, Paul E. DiCorleto, and Guy M. Chisolm – Smooth muscle cell surface tissue factor pathway activation by oxidized low-density lipoprotein requires cellular lipid peroxidation; Blood, 1 November 2000, Vol. 96, No. 9, pp. 3056-3063) alcuni ossisteroli sarebbero neutri, mentre altri produrrebbero uno stress ossidativo (7betaidroperossicolesterolo). Inoltre (Programma Nazionale Linee Guida – Istituto Superiore della Sanità) i neonati allattati al seno spesso hanno livelli di colesterolo sierico più alti rispetto ai lattanti nutriti con latte in polvere.
Si deve infine rilevare che il latte fresco contiene comunque circa un terzo degli ossisteroli contenuti nel latte in polvere. E che anche prodotti non scaldati, ma semplicemente conservati a 20 °C, aumentano la frazione di ossisteroli.
Cibi e temperatura – Occorre rilevare che il problema della temperatura è molto più generale. Per esempio, gli oli usati oltre il punto di fumo producono acroleina; i prodotti da forno acrilammide, le carni alla griglia nitrosammine ecc. Del resto la cottura igienizza i cibi, li rende più digeribili e in alcuni casi accresce la biodisponibilità di alcune sostanze (come il licopene del pomodoro; a sorpresa è meglio la salsa che un pomodoro magari nemmeno troppo maturo).
Come sempre si tratta di pesare vantaggi e svantaggi. Nel caso del latte in polvere gli svantaggi sono veramente piccoli ed è lecito pensare, fino a prova contraria, che il nostro corpo riesca a gestire una tossicità microscopica (presente del resto in acque e moltissimi altri cibi).
Conclusioni – Il latte in polvere quindi, se certamente non può essere paragonato al latte fresco (che va decisamente preferito per tutti quei cibi che vogliono essere di qualità, come per esempio un panettone natalizio), non deve nemmeno essere demonizzato oltre misura e può trovare applicazione in quei prodotti di largo consumo a media-lunga scadenza che necessitano di un processo produttivo stabile. Non siete ancora convinti? La carne cotta a lungo contiene almeno 200 volte più ossisteroli che il latte in polvere. Bene, diventiamo vegetariani. La situazione non migliora: le patate fritte in olio di oliva extravergine contengono fino a 17 volte il contenuto di ossisteroli del latte in polvere.
Personalmente ritengo che chi vuole puntare il dito contro gli ossisteroli, più che indagare la loro tossicità generale con megadosi improbabili nell’alimentazione, debba eventualmente capire perché i meccanismi di eliminazione e controllo in alcuni soggetti non siano affidabili, mentre funzionano benissimo per la maggioranza della popolazione che segue uno stile di vita corretto.