Cos’è il senso di colpa alimentare? Con questa locuzione ci si riferisce a un stato psicologico (senso di colpa) conseguente a una trasgressione alimentare. Tale trasgressione non è oggettiva, ma è relativa al codice di comportamento alimentare del soggetto.
Il senso di colpa alimentare può avere quattro componenti fondamentali, anche se di solito una di esse è prevalente:
- una naturale propensione al senso di colpa. Per questa componente vedasi l’articolo Senso di colpa;
- una mentalità anoressica che vede il cibo come nemico e quindi tipica di chi non lo ama. In genere il senso di colpa alimentare non scatta per grandi abbuffate, ma anche per semplici trasgressioni (per esempio uno spicchio di cioccolato). Per questa componente si veda l’articolo corrispondente, Mentalità anoressica;
- una scarsa volontà anevrotica che porta il soggetto a temere che, se cede una volta, cederà sempre. Questa componente è massima nelle personalità svogliate, caratteristica dei sedentari che vorrebbero essere magri, mangiando poco. Per questa componente si consulti l’articolo Forza di volontà anevrotica;
- una scarsa educazione alimentare. Il soggetto non comprende che una singola eccezione alimentare (per approfondimenti sul concetto di eccezione alimentare si legga l’articolo Amore per il cibo) non può fare ingrassare perché è convinto di essere riuscito a dimagrire solo grazie a pesanti restrizioni alimentari (e in genere è vero, quello che non capisce è che questa non era l’unica strada percorribile!).
Di solito siamo di fronte a soggetti che si nutrono a insalatone, minestroni e che hanno limitato, pur amandoli, cibi e piatti più calorici ecc. Poiché non conoscono nemmeno il loro fabbisogno alimentare, per non rischiare “stanno bassi” e usano il senso di colpa come guardiano della loro alimentazione.
Chi invece ha un’educazione alimentare riesce a scadenzare opportunamente le occasioni di incontro (ovvio che non si può uscire a cena tutte le sere), ma, quando è in compagnia, apprezza il cibo con l’unica limitazione di non mangiare così tanto da avere problemi digestivi (una buona regola è alzarsi dalla tavola con ancora un minimo senso di fame), ma sforando comunque (e senza sensi di colpa!) dalla sua usuale alimentazione.
Per approfondire il concetto di educazione alimentare si consulti l’articolo corrispondente: educazione alimentare.
Nei soggetti equilibrati la scarsa educazione alimentare è, molto spesso, la componente preponderante. In questo caso si hanno due possibilità di scelta: si può continuare a “fare la fame” oppure ci si crea un’educazione alimentare, imparando a capire cosa, come e quanto mangiare. È fondamentale comprendere che non esistono cibi buoni o cattivi e che si può, senza alcun problema di sorta, fare un’eccezione alimentare, godendosi al massimo il cibo che si ama, dal momento che si conoscono i facili mezzi con cui questa “trasgressione” può venire recuperata.
Spesso, quando si decide di dimagrire, lo si fa scegliendo una dieta che riesce sì a farci perdere peso, ma che non è possibile sostenere nel lungo periodo, con tutte le problematiche che ciò comporta; a che serve dimagrire se poi nel giro di alcuni mesi si riacquisteranno molti dei chili persi?
Affidarsi alle insalatone dietetiche, ed escludere dal proprio regime alimentare tutta una serie di alimenti ritenuti ipercalorici, è una strategia che può funzionare per brevissimo tempo, ma che è inevitabilmente destinata a fallire. Appare molto più logico e sensato gustarsi tutti i cibi (magari anche una calorica pasta al pesto), seppure in modica quantità.

Il senso di colpa alimentare è uno stato psicologico conseguente a una trasgressione alimentare
Senso di colpa alimentare e agonismo sportivo
In diversi casi, il senso di colpa alimentare è uno stato psicologico che si ritrova in sportivi amatoriali di buon livello; certi soggetti si sentono infatti “in colpa” in quanto la trasgressione alimentare è vista come decisamente deleteria nei confronti degli obiettivi sportivi che si sono posti. Non c’è assolutamente niente di male nell’avere una certa carica agonistica; tuttavia, quando quest’ultima è troppo accesa, si rischia una certa “schiavitù sportiva” che potrebbe avere pesanti ricadute psicologiche (il tipico esempio è l’autostima da risultato).
È quindi fondamentale capire che occorre fare sport principalmente per due motivi: divertimento e salute. A meno di non fare sport per professione, centrare o no determinati obiettivi sportivi non cambierà molto nella propria vita.