Il chitosano è una sostanza scoperta casualmente nel 1859 da C. Rouget, uno scienziato francese che stava cercando di produrre un sapone naturale. È un derivato della chitina (è ottenuto tramite un processo di deacetilazione), una fibra naturale molto diffusa e simile alla cellulosa.
Nell’ambito della chimica, con il termine chitosano si indicano vari polimeri (in effetti sarebbe più corretto parlare di chitosani) con peso molecolare variabile da 50 a 200 Kda, diversa viscosità e diverso grado di deacetilazione. La formula chimica che identifica tali sostanze è (C6H11O4N)n.
Sia la chitina che il chitosano possiedono alcune interessanti caratteristiche fra le quali ricordiamo la biodegradabilità, la biocompatibilità, la bioadesività e l’atossicità. Queste e altre peculiarità hanno fatto sì che venissero compiute ricerche con lo scopo di studiare eventuali applicazioni di tali sostanze.

Il chitosano si trova in abbondanza nello scheletro esterno degli Artropodi e dei Crostacei in particolare.
Alcuni utilizzi del chitosano
Inizialmente l’unico uso del chitosano era destinato all’industria delle bevande. Attualmente invece sono molteplici gli usi che si fanno di questa sostanza.
Industrialmente il chitosano viene sfruttato, per esempio, nel processo di purificazione delle acque reflue, dal momento che esso ha la capacità di attrarre e assorbire i composti di tipo oleoso come il petrolio. Sotto forma di membrane, il chitosano viene impiegato nei processi di addolcimento delle acque. Viene utilizzato anche dalle industrie cartiere, infatti la carta trattata con esso risulta essere più resistente sia a strappi e abrasioni sia all’umidità.
Avendo caratteristiche antibatteriche, il chitosano viene impiegato negli imballaggi di prodotti di tipo alimentare. Viene utilizzato anche per produrre bende e fili di sutura dal momento che esso non ha effetti di tipo allergico.
Un altro utilizzo di questo polimero è quello come idratante e condizionante in prodotti dell’industria cosmetica.
Nell’industria agricola lo si utilizza come agente protettivo per i semi e per i frutti; il chitosano infatti è scarsamente permeabile all’ossigeno, proprietà che, insieme alle già citate caratteristiche antibatteriche, gli permette di essere un buon conservante di prodotti che presentano una certa deperibilità.
L’industria tessile lo sfrutta nei processi di tintura dei tessuti. Si è infatti osservato che la pretrattamento del cotone con il chitosano aumenta l’efficacia e l’uniformità della tintura. Si è visto inoltre che se si utilizza il chitosano per pretrattare la lana, quest’ultima migliora sia la sua tingibilità che la sua resistenza; si incrementa inoltre l’effetto anti-infeltrente.
Continuano gli studi sui possibili utilizzi della sostanza a livello sanitario, sia come accelerante dei processi di guarigione delle ferite sia per migliorare l’efficienza dei farmaci veicolando questi ultimi nei punti desiderati e riducendone le quantità da impiegare. Attualmente, grazie alle sue caratteristiche di bioadesività, il chitosano viene impiegato nella formulazione di vari prodotti farmaceutici a uso nasale, oftalmico e orale che prevedono il rilascio graduale del farmaco.
Chitosano per dimagrire: funziona?
Se sull’efficacia del chitosano negli usi citati nel paragrafo precedente non vi sono particolari discussioni di sorta, più controversa è la questione dell’utilizzo di tale sostanza come dimagrante e come farmaco (riduzione del colesterolo LDL, aumento di quello HDL, riduzione della glicemia ecc.).
Spesso si usa l’espressione chitosano forte, che altro non è che un modo per indicare formulazioni a più alto contenuto del principio attivo (in genere, superiore a 500 mg).
Chi promuove l’utilizzo del chitosano quale sostanza per dimagire sostiene che questa fibra avrebbe la capacità di “catturare” nell’intestino circa un terzo dei grassi introdotti; questo perché, in base all’idea che sta alla base dell’impiego di chitosano, esso sarebbe in grado, grazie alla sua carica ionica (positiva), di attrarre gli acidi grassi liberi (carica negativa) nell’intestino e di farli rimanere nel lume dell’apparato digerente impedendo il loro assorbimento. Il problema è che il chitosano pur rallentando il processo di assorbimento dei grassi non ha dimostrato di possedere effetti a livello di riduzione quantitativa dei grassi stessi.
In uno studio del 1999 (Methods and Findings in Experimental and Clinical Pharmacology 21(5):357-361) si è osservato che l’assunzione di chitosano non ha sortito effetti significativi né come dimagrante né come sostanza ipocolesterolemizzante tant’è che nello stesso anno, la Food and Drug Administration statunitense intimò a una grande azienda produttrice di integratori a base di chitosano (la TRY-Lean) di non pubblicizzare in alcun modo il chitosano quale sostanza efficace nella riduzione del peso, nell’ipertensione arteriosa, nella riduzione dei livelli di colesterolo ecc.
Il problema è sempre lo stesso: come già ribadito nel nostro articolo Dimagranti da banco, si deve riflettere su questa considerazione:
Attualmente non esistono sostanze senza controindicazioni che possano favorire il dimagrimento significativo del soggetto, tant’è che gli inutili dimagranti che vengono venduti senza prescrizione medica hanno fra le avvertenze “in abbinamento a una dieta ipocalorica e a esercizio fisico”.
Alcuni utili approfondimenti sulla questione sono reperibili anche nell’articolo Test clinici hanno dimostrato che….
Controindicazioni ed effetti collaterali
Fra gli effetti collaterali degli integratori a base di chitosano sono segnalati disturbi di tipo gastrointestinale e sensazione di pesantezza; il chitosano potrebbe inoltre inibire l’assorbimento delle vitamine liposolubili (A, D, E e K).
Il consumo di chitosano dovrebbe essere evitato in gravidanza e durante l’allattamento. Poiché inibisce l’assorbimento intestinale di molte sostanze, andrebbe evitato nel caso si assumano farmaci, o comunque il suo utilizzo dovrebbe essere approvato dal medico curante.